LA NUOVA ETÀ 9 « l’Italia » ’(1). E Paolo Giovio scriveva nel 1544 a Vincenzo Fedeli, residente veneto a Milano: « 0 signor mio, il nome italiano sta fresco se l’Evangelista non tiene fermo il suo « stendardo, che è quello della libertà italiana » (2). Proprio in quell’anno era nunzio pontificio presso la Repubblica monsignor Giovanni della Casa, l’autore del Galateo, che tributò egli pure calde lodi in versi e in prosa a Venezia, dal voler di Dio concessa alla fortuna d’Italia « e sopra quante città mai furono, dalla terra e dagli uomini riverita, « e dal cielo e da Dio innanzi ad ogni altra amata e cara tenuta » (3>. Alla fine del secolo XIII, chiuso il periodo delle grandi imprese, parve che il patrimonio di gloria e di potenza, raccolto per opera delle varie classi sociali, Venezia volesse affidare alla prudenza e alla saggezza di pochi privilegiati per virtù e per fortuna. E in vero il reggimento aristocratico fu esercitato per circa cinque secoli da uomini sempre guidati, quasi diremmo, da un sano egoismo, pel quale ogni cosa era considerata secondo le utilità o i danni che ne potevano derivare alla patria. « I «patrizi veneziani — scriveva nel 1565 un letterato genovese, Gabriele Saivago — « sono sempre intesi al pubblico bene « aspirando senza intermissioni a legationi « et magistrati, non perdonando, per con-« seguirli o esercitarli, ad alcuna fatica o « spesa quantunque grande, un obsequio, « oltre a ciò uerso i più antichi, un ap-« plauso generale uerso i migliori, una sa-« lutare emulatione uerso i più grandi, che « maggiormente per honesta contentione « genera utilità e diletto, che per tumulto « ciuile possa causare scandalo o danno »(4>. Pazienti negli affari difficili, tanto più fermi nelle risoluzioni quanto più lenti a pigliarle, gli statisti veneziani non furono mai traviati, neppure dall’ambizione. Ambiziosi erano certamente, ma conoscevano anche la difficile virtù dell’obbedienza alle leggi e deponevano, senza mormorazioni, i più ambiti uffici per ritornare alle consuetudini della vita privata. Ancora, pensavano che nei pubblici negozi ciò che maggiormente nuoce è di lasciarsi sopraffare dalle convenienze e vincere dai riguardi. Per non considerare se non un semplice particolare della vita pubblica, gli ambasciatori stranieri, accolti con ogni maniera di cerimonie, erano poi circondati da un vigile sospetto, e tanto prevaleva il vantaggio della patria sui doveri dell’ospitalità, da essere severamente punito quel patrizio che avesse relazioni coi mi- (1) Bernardo Ochino, Prediche predicate nella inclita città di Vinegia del 1539, Vinegia, Bindoni e Pasini, 1541 (opusc. rarissimo nella bibliot. Guicciardiniana alla Nazionale di Firenze), pag. 24. Bernardino Ochino, senese (n. 1457), predicatore di grande rinomanza, fu direttore spirituale di Pietro Bembo. Nel 1542, essendosi accostato alle idee della Riforma e temendo le persecuzioni della Corte di Roma, si rifugiò a Ginevra, quindi in Moravia, e nel 1564 mori aSchlackau. Ben-rath, Bernard Ochino von Siena, Lipsia, 1875. (2) Fed. Stefani, Paolo Giovio, in « Arch. Ven. », a. 1871, t. I, pag. 374. (3) Giovanni della Casa, Opere (nella Orazione delle lodi della Sereniss. Rep. di Ven.), Venezia, 1728, t. Ili, pag. 411. (4) Salvago, Della città di Venezia, lett. ined. a Camillo Paleotto, Venezia, tip. Merlo, 1842, pag. XII. EPICHE NOVEPREì BINATE UAL R£VE R. E N D O »Ì,i111('K r 111 r 11111 ° Occhino Salde, Geni Me .teli ardine di trari Capuani (iella Indi * £ ta di Vinogi.’tdcl.M.D.XXXIJCtttefula kpmu !.i Domenica di paifionc, la feconda il ■fiJMartcdi. La tcrn il vcncrdi.Laquan&fi Sa» | baro dopo la deira i lomenica di paffione,atian; JBr la Domenic i iti li Olino. I .¿quinti il Lune* Kfl* fanto. La filla il Oiouedifanro. Lafrtrima lunedi di l'alqn.i.La ott.uia il di della Mail s dalena. Là nona il di di S. Nicolo allifcohn In Perugia. Nuotiamcie date in luce,è có grandiiììma diligenza itamputc! • .’■gBKj.rrrrr ■*T,.ir.T*ry---i X Ve frontispizio di un volume di prediche di fra bernardino ochino.