16 CAPITOLO II. tre capi della quarantia criminale, e dei sei savi grandi, dei cinque di Terraferma e dei cinque agli ordini. Il maggior consiglio aveva la suprema autorità legislativa e accoglieva tutti i nobili che avessero compiti i venticinque anni; numerosissime quindi le adunanze, ordinate, come per le altre assemblee, da una saggia disciplina nelle discussioni e da minuziose norme nelle votazioni (1>. Il collegio esaminava tutti gli affari dello stato, prima che fossero discussi e definiti dai vari consigli; esso s’era a mano a mano ordinato e perfezionato ne’ secoli XIV e XV, determinando a ciascuno dei tre ordini di savi le proprie facoltà. I sei savi del consiglio studiavano gli affari presentati al senato, al quale riferivano le loro conchiusioni; i cinque di terraferma, istituiti nel 1434, trattavano le faccende dei possedimenti continentali; i cinque agli ordini curavano tutto ciò che era pertinente alla navigazione e al traffico. Al maggior consiglio spettava il diritto di elezione di quasi tutti gli uffici; al senato, chiamato ancora consiglio dei pregadi (consilium rogatorum), la pubblica amministrazione e il diritto di guerra e di pace; alla quarantia criminale il giudizio sui reati comuni e alla quarantia civile quello sulle controversie civili; al consiglio dei dieci le vigilanza sull’ordine politicocostituzionale e il giudizio sui delitti di stato. Un aspro conflitto di giurisdizione si accese e si svolse, lungo i secoli XV e XVI, prima fra senato e maggior consiglio, poi fra senato e consiglio dei dieci. Fin dal Trecento il consiglio dei pregadi aveva tolto all’esame del maggior consiglio, per richiamarle a sè, le più gravi questioni politiche e amministrative, e al principio del Quattrocento aveva potuto appropriarsi la piena potestà legislativa in materia finanziaria, che è quanto dire il dominio sulla vita dello stato. Trasferendo il potere politico e amministrativo dall’ampio consesso del gran consiglio al cerchio molto ristretto del senato, il potere poteva essere più facilmente diviso ed esercitato tra poche famiglie. Questa la principal ragione del conflitto costituzionale, che poi scoppiò anche fra senato e consiglio dei dieci. Neppure gli allargati poteri del senato parvero bastanti a una parte dell’aristocrazia, che, desiderosa di un più stretto ordinamento oligarchico, cercò di chiudersi nel consiglio dei dieci, il quale, con lento lavorìo, penetrò e pervase tutta la vita politica veneziana, spogliando dei suoi più delicati uffici il senato. Il contrasto fra queste due magistrature si conchiuse nel 1583 con la piena e integra restituzione della suprema autorità al senato, che rimase il centro dell’attività politica e legislativa, a cui gli altri consigli e collegi servivano di compimento nell’esercizio della sovranità dello stato <2>. La lenta e pur progressiva separazione del potere legislativo da quello giudiziario, restaurato nelle corti, nella quarantia, nel consiglio dei dieci, opportunamente integrata con gli inquisitori di stato, portò un miglioramento nel sistema procedurale, al tempo stesso che la creazione continua di nuove e varie magistrature dimostrava un assiduo studio delle questioni sociali. Non appena riscontrato nell’ordinamento sociale un difetto, o avvertito un errore, la Repubblica cercava provvedervi, creando una nuova magistratura, la quale molte volte pubblicava decreti e capitolari di difficile attuazione, e quindi poco o punto osservati. Certi pubblici uffici sembrano meglio commissioni per studiare provvedimenti, che per mandare ad effetto decreti. Il governo, rigi- (1) Il modo di votazione variò, secondo i tempi, nei grandi corpi dello stato. In generale le votazioni erano segrete, cum bussolis et ballotis. Le ballotte, prima di rame, poi di cera e da ultimo di lana, erano tutte di un peso e di un colore. In antico i bossoli pel si, pel no, e per il voto non sincero, ossia, come oggi si dice, di astensione, erano staccati. Più tardi si inventò il bossolo triplice, composto di tre scatole o ripostigli; uno bianco, ove si deponeva il voto favorevole alla parte, un altro verde che conteneva i voti negativi, un terzo rosso per i voti non sinceri. Quanto alla legalità del numero, variava essa pure secondo le magistrature. Bastò la metà, o la maggioranza, pel senato, ma non pei collegi della quarantia e, da ultimo, il collegio dei XV richiedeva la presenza di undici almeno, perchè la votazione fosse legale, e quello dei XXV doveva trovarsi almeno con diciassette membri per deliberare. Chiamavasi balotin chi trascriveva gli squittinì del maggior consiglio e del senato, perchè fossero divulgati. Negli scrutini fatti per l’elezione del doge, un fanciullo, che si chiamava balotin del doxe, estraeva le palle d’oro. (2) Enr. Besta, Il Senato, in « Misceli. Dep. Ven. st. patria », ser. II, t. V, pag. 152 e segg.