304 CAPITOLO IX. dei cittadini e dei mercanti facoltosi, che nell’ornarsi mostravano poca differenza dalle nobili (1). Elegante anche il costume dei fanciulli e delle fanciulle nobili : giubboncini di seta e raso con bottoni d’oro, passamani e trine, e in testa berrettini neri « a torno « de’ quali un velo cinto, o ghirlande di margaritine di bella vista, con qualche me-« daglia o pietra pretiosa »<2). Più severe le vesti, meno mutabili le fogge, meno molli le usanze degli uomini, quantunque l’esempio del lusso venisse dal capo dello stato. Per accennare a un solo particolare, il corno o berretto ducale per le solennità, fu nel secolo XVI ornato di tante gemme da raggiungere il valore di 194,092 ducati, corrispondenti a più di sei milioni di lire <3>. Dopo il doge Niccolò Marcello (1473), le vesti di cerimonia non mutarono nella forma, bensì nel valore e nelle tinte delle stoffe, e nel 1523 Andrea Gritti, di bellissimo aspetto e molto curante deH’abbigliatura, cominciò a usare la veste di vari colori, con fiorami d’argento e l’ampio manto con ricchissimi ricami <4). In privato, il doge portava rosso berretto, sopravveste purpurea a larghe maniche e con Io strascico, e calzari rossi. Dai grandi ai plebei era in tutti il concetto che la pompa del vestire conferisse alla dignità della persona e dell’ufficio. Nel 1502, i due ambasciatori di Venezia, mandati a Ferrara pel matrimonio di Alfonso d’Este con Lucrezia Borgia, dovettero, prima di lasciar la città, presentarsi al senato coi loro grandi mantelli di velluto cremisi, foderati di ermellino <5). II Sanudo non dimentica di farci sapere che il generale Bartolomeo d’Alviano aveva « ordinato uno saio damali schin bianco, listà d’oro batudo bellissimo e di gran « precio, lavorado, et una sopra veste di cavallo pur « bianca, listada a oro, ut supra, bellissima et di « gran valuta, con la qual voleva far l’intrada con il « Re, a Milan » <6). Con tutto ciò le vesti maschili dei Veneziani andarono immuni dai chiassosi e volgari ornamenti adoperati in altri paesi. Osserva monsignor Della Casa: « Le penne che i Napoletani e gli Spa-« gnuoli usano di portare in capo, e le pompe e i ricami, male hanno luogo tra le robe « degli uomini gravi, e tra gli abiti cittadini, sicché quello che in Verona per avven-« tura converrebbe, si disdirà in Vinezia; perciocché questi così fregiati, e così impen-« nati non ¡stanno bene in questa veneranda città... » <7). L’abito dei magistrati, anche per istrada, era la toga di panno, di velluto, o di damasco nero, o paonazzo, o purpureo, foderata nell’estate d'ormesino, e nell’inverno di pelli rare, lunga sino ai piedi, affibbiata sotto la gola, donde usciva il collare della camiscia bene accomodato <8>. (1) Franco, Habitl cit., pag. IO. (2) C. Vecellio, Habiti cit., pagg. 124, 125. (3) Cecchetti, Il doge di Venezia, Ven., 1864, pag. 28. (4) Il Sanudo (XI, 767) descrive, nel febbraio 1525, il doge Andrea Gritti «vestito di restagno d’oro, di martoro, « con un manto bianco e d’oro a fioroni et la bareta etiam bianca con frisi d’oro e col bavaro di armelini ». (5) Arch. di Modena, Disp. dell'invialo ferrar, ad Ercole (25 genn. 1502) cit. dal Gregorovius, Lucrezia Borgia cit., pag. 248. (6) Sanudo, XX, 398 (19 luglio 1515). (7) Della Casa, Galateo, cap. XXVIII, § 155. (8) C. Vecellio, op. cit., Habito ordinario o comune a tutte le nobiltà venetiane, pag. 82. acconciatura del capo di una veneziana ALLA FINE DEL SECOLO XVI. (Dalle « Varie acconciature» di G. Guerra).