46 CAPITOLO III. Un’altra insidia alla sanità pubblica avrebbe potuto essere la mancanza d’acqua potabile, però che, osserva il Sanudo, « Venezia è in aqua et non ha aqua» <*>. Quella piovana, raccolta nelle cisterne e purificata con ingegnosi modi di filtrazione, poteva far dire al medico Rangone, alla metà del secolo XVI: « L’acqua che dopo l’aere può assai... « piovuta dal Cielo, purgata prima nelle cisterne è soave, senza sapore e colore, limpida e « leggiera» <2). Veramente lasciava deposito di sabbia e di limo, e a tale inconveniente non potevano esser compenso le qualità misteriose che all’acqua caduta dal cielo un volgar pregiudizio attribuiva. Un intelletto sagace, Almorò Barbaro, che osservava con sapiente curiosità così l’anima dell’uomo come le cose della natura, scriveva: « Cister-« narum usus ab aliis laudatur argumento subtilitatis ut quae subire in coelum ac « pendere potuerit: ab aliis dainnatur ut quibus sordium et limi et animalium quoque «plurimun inesse sentiatur » (3). Per assicurare alla città e alle isole acqua buona e copiosa, il Governo faceva costruire da abili operai (pozzeri) numerose cisterne in tutte le contrade e nella stessa piazza di San Marco(4); provvedendole, nei tempi di siccità, con l’acqua dei fiumi, specialmente della Brenta, da cui, nel 1540 (27 aprile), si derivò un canale (seriola), che con ordini severi fu tenuto immune da inquinamenti (5). Andava a prender l’acqua con appositi burchi, l’arte degli acquaroli, la quale ne traeva abbondanti proventi, coll’obbligo però di somministrare annualmente e gratuitamente cento burchi d’acqua ad alcuni ospedali e monasteri. Gli acquaroli, ai quali era pure concesso di venderla a secchi ai privati, andavano per le vie gridando: Acqua mò <6). Il senato ordinò più volte, e con maggior fermezza di propositi nel 1448, di studiare il modo di far venire l’acqua per condotto (7); concesse privilegi a ingegneri che tentarono di perforare il suolo fino a trovar l’acqua dolce <8> ; favorì tutti quelli che stu- « Pescatori che inferiscono danno alla Laguna (1699, 27 agosto) ». — Altri decreti si riferiscono alla piscicultura: « Non si « possa pescar con Tratte, nè con Grisiole per prender piccoli pesci fino alla festa di S. Pietro; e prendendone debbano «quelli rigettarsi nell’acqua (1314, 8 maggio). Pene alli trasgressori, che pescano con Grisiole, Cogoli, Tratte, Trattori « e Bragane nella Laguna da San Piero della Volta sino alli tre Porti o pescassero pesce novello (1590, 12 maggio). Proi-« bizione di prender e vender pesce novello avanti il tempo di S. Giacomo (1586, 13 settembre) ». Seguono altri decreti che proibiscono «la pesca col mezzo di Cogoli e Trattori che serrino li Canali, calcando con li piedi li Paludi l’in-« trodursi dentro il Porti pescando con le Tartane, o cavar Reti, o gettar Sassi, o altre materie dalle dette Reti in « acqua ». Rompiasio, Metodo in pratica di sommario, o sia compilazione delle leggi, terminazioni ed ordini appartenenti al Collegio e magistrato delle Acque, Venezia, 1771, pag. 211 e segg. — Cfr. Tentoni, Della legisl. ven. sulla preservazione della lag., Venezia, 1792, art. 12. Leggi che regolano le pesche e le valli. (1) Sanudo, Cronachetta cit., pag. 63. (2) Rangone, op. cit., pag. 7. (3) A. Ferriguto, Almorò Barbaro, in « Misceli. Deputaz. ven. St. patria », a. 1922, serie III, t. XV, pag. 238. (4) Fin dal 1361 si parla nei documenti di fatti avvenuti in piazza San Marco apud putheos. Nel 1445 (12 agosto) il senato ordina di costruire in capo alla piazza unum bonum et magnum puteum, cum bona quantitate acquae, quod erit alimentum et refrigerium inflnitis pauperibus; e, nel 1494 (20 aprile), si delibera la costruzione di altri due pozzi. 1 pozzi di Venezia, pubblicaz. del Comune di Ven. per cura di Gustavo Boldrin e Giov. Dolcetti, Venezia, 1910, pagg. 147, 151,158. (5) Rompiasio, op. cit., pag. 355. (6) Sanudo, Cronachetta cit., pag. 60. (7) 1 pozzi di Ven. cit., pag. 152. (8) Il Sanudo, nell’aprile del 1533 scrive (LVIII, 89): « Fu posto per li Consieri una gratia [ad alcuni ingegneri] li « quali si offeriscono far pozi in questa città et trovar l’acqua dolce, et li fo concesso altri che loro con tal inzegno « possino far diti pozi.... ». E nel luglio 1533 (LVIII, 414): * In la contrà di Santa Agnese do inzegneri... hanno cavata « passa 12 in forma di pozo, poi trivellato passa 4... et dicono haver trovato l’acqua dolze... cosa bellissima si la reense ».