260 CAPITOLO VIII. Andrea Calmo <’>, erano gli epitaffi con senso ridicolo e con profana anticipazione destinati a qualche malcapitato <2). Non trascendevano invece a personalità odiose altre satire, che flagellavano i costumi corrotti, la sfrontatezza delle cortigiane, le varie occupazioni, non sempre ascetiche, delle monache e via dicendo. In due capitoli contro Rialto, principal sede dei mercanti, erano punzecchiate le consuetudini del popolo grasso, che nel vivere e nel vestire, pretendeva portar via la palma ai nobili <3>. Piene di beffe furbacchiole, ma senza fiele, si cantavano e si spargevano, in libercoli di quattro o sei foglietti, certe canzonette, delle quali sono bizzarri anche i titoli: Historia nova piacevole la quale tratta delle malitie delle donne — Canzone morale di Santo Herculano — Le ridiculose canzon de mistro Pizin da le calde aroste et de mistro Beneto che vende le. lesse,] cosse da far crepar da rider e morir de fame — Il Pianto delle massare ecc. (4>. Questi poeti riflettevano l’indole del popolo, che passava la vita tra i carnevali e le feste, e rideva anche delle cose meno ridicole. La fiera lotta dei pugni offriva argomento a un poema eroicomico in ottave <5); il supplizio della clieba (gabbia) sospesa al campanile di San Marco, porgeva ispirazione a un altro poeta, che, [ nel Lamento di pr'e Agustino messo in cheba, voleva far ridere la gente a danno di un prete, bestemmiatore e giocatore, condannato a quella pena atroce <6). * Tra le historie, che si vendevano per li ponti e per le piazze, tra le mattinate, le serenate, le frottole, gli (1) Alcuni epitafi burleschi del Calmo furono creduti esistenti nelle chiese di Venezia dallo Scradeo (Monumentorum Italiae quae hoc nostro sae-culo et a Christianis posita sunt, lib. Ili, pag. 560, Helmaest, 1592). Cfr. Cicogna, Iscr., Ili, 116.— Nel secolo XVII di questa malvagia forma di satira si piacquero anche due patrizi letterati, Gian Francesco Loredano e il Michiel (Il Cimiterio, Venezia, MDCLIV). (2) Diamo un esempio di epitaffio sul poeta e pittore vicentino Giambattista Maganza (Bibl. Marc., it., cl. IX, 271, c. 45): El Maganza carogna è in questa cassa, Poeta goffo, e pittor da do soldi, Fiol d’un zaffo e re di manegoldi, Viator, turate il naso e guarda e passa. (3) Pilot, I Rialtini e la Satira, in « Pagine istriane * cit., 1907, a. V n. 3 e 4. (4) La congiura che anno e massare contro coloro che cantano la sua Canzone. Venezia, In Frezzeria al segno della Regina, MDLXXXIIII (riprodotta dal Menohini, Canz. ant. del pop. it. ecc., voi. I, fase. I, Roma, 1890). ^ (5) La guerra de' Nicolotti e Castellani deiranno 1521, poemetto d'incerto autore. Cfr. Gamba, Collez. delle migliori op. in dial. cit., voi. I, pag. 15. (6) Lamento di pri Agustino che si duole della sua sorte che lo habbia fatto Imperator senza imperio, e messagli la lingua in giova (strettoio) per biastemmar et al fin rhanno messo in chebba condannato a pane et acqua. Con alcuni suoi utili aricordi (1548). Il poeta fa parlare lo stesso prete, che si affligge della sua colpa e si rammarica delle sue torture e delle contumelie del popolo: Mi porgon il mangiar per un sol buso Con l’acqua che mi dan 'vece di vino E (con ragion) il mio peccato accuso. E più mi duol che ogni sera et mattino, Da meggio di e a tutte quante l'ore, Mi chiaman i fanciui: o prè Agustino. Mi danno alcuna volta tal stridore, Che son costretto de pissarli adosso Per isfocar alquanto il mio dolore.