452 CAPITOLO XIV. dal Collegio, risposero non esservi a siffatto male che un rimedio, quello di tagliare a metà i bestemmiatori, come facevano i turchi Il Governo non aveva bisogno di consigli per rendere atroci le pene, e Marin Sañudo, il 5 maggio 1519, scrive con raccapricciante laconicità: « Etiam eri, da poi disnar, in Quarantia criminal, fono expediti « tre biastematori, quali quella setimana santa biastemono molto in l’hostaria dii Bò « a Rialto. Era in sua compagnia un prete. Fo preso mandarli in una piata per Canal «grando, cridando la sua colpa, poi a Rialto per mezo l’hostaria predita il sia tajà « la lingua, demun a San Marco in mezo le do coione conduti li sia cavà li ochi et « la man destra, et sia confinati in questa terra a esempio di altri » <2). E il mite Sañudo aggiunge: « Fo bella parte et cossa « notanda ». Alle bestemmie che offendevano la religione erano parificate nei ga-stighi le imprecazioni in vitupero dello stato <3). Ma il maltalento, insofferente di costrizioni, dissimulava le bestemmie con alterazioni di parole. Così la frase incriminata: al dispetto di Dio, si velava con quest’altra: al conspetto di Dio o al con-spettazzo de Dio te romperò i brazzi, te caverò el cuor. « Parole che sono indubitate « biastemme, per sutterfugire la meritata « pena » osservano i Dieci, che cercavano di correr pronti al riparo con la « galia, « corda, frusta, prigionia et bandi, ouero « altre sorte di pene » <4). Genti e usanze straniere recavano sulla laguna brutti esempi e brutte dottrine, che entravano a poco a poco nelle case, pur vigilate da tradizioni oneste e decorose. Le fatue cerimonie, specialmente di Spagna, avevano conquistato e guasto perfino l’animo degli educatori, che avrebbero dovuto essere i primi a dare esempi di serietà (5). La boria, il sussiego, le cerimonie non impedivano però ad alcuni patrizi di scagliarsi ingiurie nei consigli, di tumultuare nelle adunanze, di minacciare i giudici nei tribunali. Il dileggio, lo scherno, la sfacciata insolenza crescevano abbondantemente nella città che ospitava l’Aretino. Non bastava la satira stampata e manoscritta, ma si andavano cantando per le vie cose dishoneste e vituperose. E i canti 1) Sañudo, X, 33. (2) Id. XXVII, 241, 258. (3) Nel novembre 1511 « fo taiata la lengua a Bernardin Milizia padoan fo barbier, su uno soler in mezo le do «coione.... per parole diete contro lo stato». Sañudo, XIII, 260. (4) Legge del 16 febbr. 1546 nella Parte presa dal C. X (19 ott. 1548), Parte del M. C. 11 ag. 1559. Venezia, tip. Rampazetto. (5) Un docente, nè fu unico esempio, dello Studio di Padova, Angelo Mattiazzo, ricorre allo stesso doge Pasquale Cicogna, perchè un altro professore, inferiore di grado, Bonifacio Ruggeri, aveva avuto l’ardire di precederlo. Il doge trova che la cosa non è di poco momento, e scrive « nobilibus et sapientibus viris, Giovanni Soranzo, podestà, e Federico « Sañudo, capitano di Padova, perchè vietino tale scandalo che porterebbe diminutione di quella dignità ch’ai Senato è «parso distribuire più in uno che in altro oggetto». (Arch. di Stato, Quarantia Crim., filza 108, fase. 102, ducale 6, febbraio 1591). L’episodio fa ricordare quello di Lodovico nei Promessi Sposi, sul quale cfr. Lombroso, Precedenza di mano e muro nei « Rendiconti dei Lincei», a. 1923, ser. IV, voi. XXXII, fase 5-10 pag. 102.