I FESTEGGIAMENTI E LE CERIMONIE PUBBLICHE 437 Un fantastico avvicendarsi di feste e di spettacoli allietò il soggiorno del monarca: processioni e ricevimenti solenni, regate e corsi di gondole, lotte dei pugni e con le canne, balli, conviti, concerti musicali, rappresentazioni teatrali, serenate. Fu persino condotta lungo il canalgrande, su larghe zattere, una fornace da vetri, che per tutta una notte fabbricò oggetti di vetro delle forme più artistiche <1). Al re fu preparato un banchetto, a cui parteciparono tremila convitati, nella sala del maggior consiglio, dalla quale s’erano portati via i banchi, inalzando nel luogo del trono ducale un’immensa credenziera, con oggetti d’oro e d’argento del valore di dugento mila scudi, e di contro un trono con un baldacchino rosso, ricamato a gigli d’oro. Nella stessa sala fu data inoltre una colazione, tutta composta di zucchero: il pane, i piatti, i coltelli, le forchette, le tovaglie, le salviette erano di zucchero, e tanto bene imitate, che il monarca rimase piacevolmente sorpreso, quando gli si ruppe fra le mani la salvietta (2). Il piatto dinanzi a Enrico rappresentava una regina, seduta su due tigri, che avevano disegnate sul petto le armi di Francia e di Polonia. A destra della mensa reale, due figure di leoni con Pallade e la Giustizia; a sinistra, un San Marco e un Davide; sulle altre tavole, moltissime statuette raffiguranti papi, re, numi, pianeti, arti, virtù, animali, frutta, fiori, tutte di zucchero e preparate, sui modelli del Sansovino, dallo speziale Niccolò della Cavalliera, che aveva bottega all’insegna della pigna (3). Con gli stessi ornamenti erano state apparecchiate due altre tavole nella sala dello scrutinio (4). Il palazzo ducale, il sacrario della maestà dello stato, le aule dove deliberavano gli austeri magistrati, si trasformavano in sale di ballo e di banchetti. La liberalità della Repubblica andava tant’oltre da regalare gli ospiti di doni preziosi e di ricche vesti. Leonardo Botta, oratore milanese presso la Repubblica, manda nel 1476 al duca Galeazzo Maria Sforza una curiosa descrizione dell’accoglienza fatta ad alcuni ambasciatori tartari. Il primo ambasciatore, bello homo, grave de aspecto, vestito d’un costume conforme al ungaresco, presentatosi col suo séguito alla Signoria, manifestò per mezzo di due interpreti i sentimenti d’amicizia del suo imperatore, a nome del quale offerse in dono due armature e un cavallo. La Repubblica, per exten-dere il nome et fama sua, regalò agli ambasciatori ricche vesti e li ospitò splendidamente per tre mesi (5\ Nel 1486 un cugino del re di Portogallo, venuto a Venezia (1) De Nolhac e Solerti, op. cit., pag. 131. (2) Della Croce, Hist. della pubbl. et famosa entrata cit., pag. 24. (3) De Nolhac e Solerti, op. cit., pag. 148. (4) Vedi Appendice, Documenti E, le Note di spese per conviti, dati nel maggio del 1534 a Renata d’Este. Le note, tratte dai registri degli ufficiali delle rason vecchie, sono importanti, oltre che per dimostrare la liberalità della Repubblica verso gli ospiti suoi, anche per conoscere i prezzi delle derrate. (5) Il Botta scrive che i tartari, avvezzi a non mangiare se non carne di cavallo, a bere acqua e latte e miele, perchè non avevano cognitione di vino, si adattarono molto bene a berne, anche se la malvasia produceva loro un certo riscaldo agli occhi. « Deinde essa Signoria ha facto ad dicto oratore una veste de brochato doro cremisi, una de dama- TINTORETTO — ENRICO III. (Palazzo ducale, sala degl stucchi).