380 CAPITOLO XI. basciata sopra le bionde trecce di lei.... Ambidoi, felici, lieti, gioiosi et di contentezza pieni et colmi si ritrovano; ma più assai la pazzarella et baldanzosa femina.... parendole « in quel ballo di esser sopra l’huomo, per aver lei in quella dilettevol hora il cappello in « capo et per raggirare et dimenare quel sciocco senza barretta per quelle ampie « sale a suo diletto o*1*. Nel ballo della torcia, ricordato in un sonetto di Torquato Tasso, la donna con un torcetto in mano passeggiava per la sala, poi si avvicinava al ballerino prescelto e lo invitava dandogli la mano, dopo aver consegnato il torcetto a un altro meri fortunato, che così portava il lume<2\ Finalmente la pavana, che non è già l’abbreviatura di padovana, ma trae il suo nome dai movimenti della ballerina, imitanti quelli del pavone nel suo lento incedere quando fa la ruota (3). Nelle feste spesso danzavano donne insieme con donne e uomini soli <4), e il ballo aveva attrattive cosi irresistibili da far dimenticare persino alle vedove, ancora in lutto, il loro recente cordoglio. « Le donne belle — avvertiva uno « scrittore dell’arte del danzare — sono fatte « per gli spassi, e gli spassi per le donne belle, >' per le brutte fu trovato il cucire e ’1 dir la « corona »(5). Benanco i sacerdoti dimenticavano il loro decoro. Con le loro vesti sacerdotali andarono, il 23 settembre del 1518, a una festa di ballo in casa Cornaro, i cardinali Cybo, Pisani e Cornaro, e i vescovi di Corfú, di Candía, di Famagosta, di Spalato. « V’era un gran « numero di gentildonne e di maschere con « saioni di tela, e fo baiato assai. Dopo cena, « le done balono il ballo del capello e tolseno « tutti tre li cardinali suso »(6). Anche il popolo si abbandonava al ballo con immenso diletto, ma senza chiassi eccessivi, e le donne face-forchettoni e trincianti. vano passi, scambietti e salti con grazia e (Dall* * Arte del cucinare »di Bartolomeo Scappi). . .. . ..... .» portavano sotto le gonnelle le braghesse dor-mesin per non mostrar, come dice il Calmo, le vergarne in tei voltarse in tei scambieti.]\\a quando i tempi giocondi vollero più liberi diletti, si videro uomini e donne abbandonarsi alle danze senza ritegno, con grida e parole, spesso accompagnate da atti licenziosi, da fogge sconvenienti. I giovani, sguaiati nell’abito e nel contegno, facevano capriole, a mò simiotti, girando su se stessi come trottole; le giovani, soverchiamente discinte, facevano salti così arditi, che a malastente i ' pulesi, che salta cusì forte, poderave star saldi (T). Similmente nelle case signorili andavano diventando eccessivi l’esultanza e il fervore delle (1) S. Zuccoi.o, op. dt., pag. 28. (2) Rinaldo Corso, Dialogo del bailo, Venetia, MDLV, pag. 6. (3) Calmo, Leti. cit., pagg. 232, 293, 294. — Altre danze, ma più consuete tra il popolo, erano la veneziana, il passo e mezzo, la moresca, il mattaccino, la bassadanza, il zoioso, l'anello. Vaselina, i vanti (guanti) di Spagna, il saltarello, e alcune che s intitolavano dai capoversi delle canzoni che le accompagnavano, come La bella Franceschin, Tu ne parti cuor mio caro. La Rosina, ecc. (4> Gregorovius, Lucrezia Bargia cit., pag. 242. (5) R. Corso, Dialogo del balla cit., pag. I. (6) Sañudo, XXVI, 53, 54. (7) Calmo, Leti. loc. cit.