GLI ORDINAMENTI DELLO STATO 23 del naso, della lingua. La sentenza di morte si eseguiva o con la decapitazione, o coll’impiccagione, o con lo strozzamento, o coll’affogamento, ma l’estremo supplizio era preceduto alcune volte da tali torture, da sembrar una selvaggia vendetta della giustizia. Un esempio, fra tanti, può mostrare a un tempo le abiette colpe di cui potevano macchiarsi i patrizi, le pronte sentenze dei giudici e le orribili pene. Nel 1513, alcuni giovani nobili, colpevoli di furti e di uccisioni, furono tratti dinanzi al Consiglio dei dieci. Lorenzo Polani, fu condannato per furto alla forca; Baldassarre da Molili, Alessandro Na-vagero, Vincenzo e Agostino fratelli Contarini, rei di omicidi, condannati a morte a colpi di mazzuolo (descopadi) e squartati. Pronunziata la sentenza, l’avogadore e un capo dei dieci si recarono nelle carceri, per annunziare agli infelici la loro sorte. Uno dei condannati, Alessandro Navagero, domandò: Che morte, signori?-, e il capo dei dieci: Sarete descopadi. Allora, continua il Sanudo, « rimasero come morti e in zenochion supplica- • rono : Signori, almeno ne sia tajà la testa ». Al suono della funebre campana, accompagnati e confortati da frati, i condannati, scalzi, in camicia, con cuffioni di tela nera sul capo, traversarono la piazzetta, tra due fitte ali di popolo, chiedendo ad alta voce perdono dei loro misfatti e mandando baci agli astanti. Sul palco, eretto tra le due colonne caddero mazzolati il Navagero e i due Contarini. Più atroce il supplizio del Molin. 11 boia, dopo averlo abbattuto a colpi di mazza, credendo averlo ucciso, si apprestava a impiccare il Polani, ma « in questo mezo ch’el apicoe questo, el Molin si voltoe, et non « era morto et vardava apicar el compagno. E subito il boia venne zozo e li dete an-« cora di la manara et morite» (,). Nel 1511, un altro giovane patrizio, Gaspare Valier, era stato condannato a morte per aver ucciso un ufficiale delle gabelle di Treviso, che lo aveva denunziato per contrabbando. Il nome patrizio, le parentele illustri, la giovanile età, l’aspetto bellissimo dell’omicida, impietosirono i Veneziani: e andò primo a impetrar grazia ai dieci il patriarca Antonio Contarini, « et fo mandato via dicendo, le delibera-« tion dii consejo di X si conveniva exequir»; poi parecchi altri patrizi invocarono inutilmente la pietà dei giudici; da ultimo i tre avogadori, Giovanni Trevisan, Piero Contarini e Niccolò Dolfin, implorarono fosse almeno sospesa la condanna. Gl’inflessibili giudici risposero ai pietosi avogadori: « Non siete più degni di questo magistrato, perhò • levative suso — e cussi si levono tutti tre et andarono a caxa Ihoro, et fo preso di pri-« varli in perpetuo di avogadori... et vien dito pocho manchoe non fusseno confinati»®. Alla fiera imparzialità della giustizia veneta tributa lodi il francese Germano Audebert: Nobilibus, populoque humili favor omnibus idem ; Nil fumosa valent antiquae stemmata gentis ; Nil, nisi maiorem quod maior poena coercet (3). Sul modo di reggere lo stato e di amministrar la giustizia si andò formando una leggenda di terrore e di mistero, ancora non del tutto sfatata. La singolarità della costituzione politica, il misterioso aspetto della città, co’ suoi vicoli oscuri e i suoi canali tenebrosi, il segreto da cui erano circondate alcune magistrature suggerirono a scrittori frettolosi o prezzolati le più strane fantasie. Due magistrature specialmente, il consiglio dei (1) Sanudo, XVII, 70, 77. Un altro esempio di supplizio, che il carnefice, mal destro, rese più atroce, è narrato pure dal Sanudo (XVIII, 48). Un prete, Bortolo da Mortegliano, che nel 1513 aperse per tradimento agli imperiali le porte del castello di Marano in Friuli, fu condotto al supplizio, e il boia, dopo averlo con parecchi colpi di manara atterrato, lo attaccò alle forche; « e ligato si vete esso prete non essere ancor morto et moveva le gambe; unde tutti chi li « era apresso comenzono a trarli saxi a la volta di la testa et di la persona... et cussi esso monstrava risentirsi: pur « tanto li fo trato che a la fin.... morite; siché credo sentisse una crudel morte ». E il buon Sanudo esclama: « Et « cussi fini la vita sua come el meritava ». (2) Sanudo, XII, 137, 186, 189. (3) G. Audeberti, Venetiae cit., L. Ili, pag. 118.