I PALAZZI, GLI ORTI, LE VILLE 187 s’apre sotto una magnifica arcata di architettura lombardesca, co’ pilastri compositi, fregiati di delicati ornati che fanno pensare alle maraviglie della chiesa dei Miracoli e del palazzo Vendramin-Calergi. I pittori cinquecenteschi non ritraggono volentieri l’intimità della casa : rappresentano le loro grandiose composizioni in ampie sale, sotto portici maestosi e vasti loggiati, accanto ai marmorei edifici dell’arte classica. Soltanto in qualche ritratto e in alcuni quadri dei grandi maestri appare nel fondo qualche angolo di stanza, qualche particolare di arredi domestici <•>, ma la placidità domestica non piace se non agli spiriti meditabondi, come Lorenzo Lotto, che ne\Y Annunzi azione ritrae con minuziosa cura del vero, una scena da cui si diffonde una pura freschezza. Nella quieta e pulita cameretta appaiono il Padre Eterno, circondato di nubi, e il celeste messaggero, inginocchiato dietro alla Vergine, tremebonda e genuflessa accanto al letto, chiuso da cortinaggi. Semplici gli arredi: l’inginocchiatoio, la soaza, sulla quale posano alcuni libri € un candeliere; al sommo della parete un finestrino coi rulli di vetro. Il gatto impaurito — curioso particolare realistico — attraversa fuggendo la placida scena. In un’altra Annunziazione di Andrea Previtali, a Santa Maria del Meschio a Ceneda (Vittorio-Ve-neto), l’ampia finestra abbinata lascia vedere la lieta campagna, ma il soffitto a cassettoni e a rosoni, l’inginocchiatoio a forma di leggìo, il cassone, coperto da un magnifico tappeto orientale, tutto l’addobbo è veneziano. Veneziani anche i ricchi arredi di una camera in un affresco rappresentante la Natività della Vergine, nella scuola del Carmine a Padova, affresco già attribuito a Girolamo da Santa Croce e ora a Giulio Campagnola<2). Nella stanza da letto, ch’era pure quella di ricevimento, secondo il comune uso anche dei monarchi e dei principi d’altri paesi, si sfoggiava il maggior lusso della casa (3). Il letto, che vede la nascita e la morte, era addobbato con speciale cura, e sorgeva sopra un’alta predella, che talvolta nascondeva il vaso da notte, ch’era spesso d'argento (4). Le colonne ai quattro angoli, le gambe, le (1) In uno sfondo di camera nella Venere col cagnolino di Tiziano, agli Uffizi, si vedono le pareti coperte di damasco, e due cameriste che cercano le vesti entro cassoni dipinti. Parecchie tele del Tintoretto hanno curiosi particolari di stanze. In un quadro di proprietà Kaulbach a Monaco, rappresentante Vulcano che sorprende Venere e Marte, la bella dea è distesa sovra un letto basso, intagliato: accanto é un bambino in culla (cariota). Altri letti molto belli si vedono in questi altri quadri del Tintoretto: Giuseppe e la moglie di Putifarre e Giuditta e Oloferne, al museo del Prado, e la Danae al museo di Lione. Il Tintoretto ha pure un interno di stanza nella Leda della galleria Pitti; e una cucina con la rastrelliera dei piatti nel fondo del quadro, rappresentante Gesù in casa di Maria e Marta. Tutte le suppellettili della tavola sono quasi sempre dipinte con diligenza nelle Cene del Tintoretto e del Veronese. (2) Fiocco, La giovinezza di Giulio Campagnola, ne « L’Arte», Roma, a. 1915, pag. 139. (3) La casa, detta dei proverbi ai Santi Apostoli, conservava fino ai primi anni del secolo XIX, una camera del Cinquecento con una lettiera, dipinta da un artista della scuola dei Bellini. La casa fu atterrata nel 1840, e s’intitolava dai due proverbi scolpiti sulla facciata: Chi semina spine non vadi discalzo e DI de ti e poi de mi dirai. (4) Un luogo comodo decente non v’era, nelle case veneziane. La fogna trovavasi generalmente in cucina presso all'acquaio, onde, per gli agi corporali, si usavano comunemente il pitale e quell'arnese di legno chiamato seggetta, conosciuto già nel secolo XIV. Sin dal 1387 in Francia si fa menzione di una’ chaise perete a uso del re Carlo VI, fatta da un artiere parigino, che ne provvide una, particolarmente ornata, anche per Isabella di Baviera. (Haward, Diction. de l’ameu-blement et de la décoration, Paris [1887], voi. II, coll. 940-953). L’Inventario del 1436 del castello di Ferrara, ai tempi di Niccolò III d’Este (« Doc. della Dep. di St. Patria di Romagna*, Bologna, 1909, voi. Ili), nota: Scharana una aschara-rxada da chameroto e Schani da chamaroto aserado da torno intorno, che non sono altro che la seggetta. Non si trova invece codesto arnese nell'unico inventario d'isabella d’Este, pubblicato dal Luzio, e nel quale è notato: Un da notte di pietra verde dura a modo tTun buffon. (Luzio, Isabella d'Este e il sacco di Roma, Milano, 1908, pag. 165), Qualcuno spiega a foggia di rospo (bufo), ma il Luzio crede debba invece intendersi il vaso a forma proprio di un buffone, perchè a Mantova,