LA PITTURA NEL PIENO FIORE ECC. 123 con lo sfacciato avventuriero fu, per vero dire, una specie di società di mutuo profitto, e i tre amici ne’ loro banchetti si godevano insieme i guadagni comuni <•>. L’animo lieto non sempre potè vincere la fatale malvagità delle cose, e anche la vita degli artisti fu turbata da agitazioni, e non andò immune da colpe e da errori. Di ferite e di omicidi non si parla però quasi mai; di sangue non è macchiato se non qualche nome oscuro, come quello di Vitruvio Buonconsiglio, detto Vitrulio, vicentino, nel 1523 condannato in contumacia a sei anni di bando, per avere, insieme coll’intagliatore Francesco Maio, assalito e ferito, di notte, in Rialto, certo Iacchia (2>. Nello stesso anno 1523, fu pure bandito per dieci anni il mosaicista Vincenzo Bianchini che aveva ferito un barbiere <3). Più increscioso è il ricordare come qualche artista insigne si sia infamato con volgari colpe. Antonio Rizzo, dopo aver combattuto da valoroso ed esser stato ferito all’assedio di Scutari, nominato protomastro del palazzo ducale, offuscò la gloria grande del suo nome defraudando, nel 1498, il pubblico tesoro di parecchie migliaia di ducati. Scoperta la frode, si salvò dalla pena con la fuga (4). Anche Alessandro Leopardi, multiforme e possente ingegno <5), fu condannato, nel 1487, in contumacia a un bando di cinque anni per aver falsificato un chirografo. Rifugiatosi a Ferrara, la Repubblica, cui premeva perfìcere equum et statuam del Colleoni, gli accordava, nel 1498, un salvacondotto, e di bandi non si parlò più<6>. Ai patrizi non era facile infrangere la rigidità della legge, bensì alcune volte agli artisti, anche se il loro valore non fosse tale da giustificare in qualche modo l’in-sueta indulgenza. Così, nell’aprile del 1534, un abile vetrario muranese, certo Plinio Dal Sol, dete un cortelo nella gola e ammazzò un Bortolo de Zan, bergamasco. Bandito, si rifugiò a Mantova, ma il padre di Plinio fece una supplica al consiglio dei dieci per ottenere la grazia, insinuando accortamente il dubbio che, sollecitato dall’illustrissimo Duca, non potesse per avventura il figliuolo levar fornace de cristalli in quel loco. L’interesse parlò più alto della giustizia, e la grazia fu concessa W. Non benigna invece fu la Repubblica con Andrea dal Verrocchio, chiamato a Venezia per preparare il modello del monumento equestre del Colleoni. Quando Andrea era già innanzi col suo lavoro, seppe che la Signoria, piegando a sollecitazioni e a intrighi, intendeva di non lasciargli compiere che il cavallo; il cavaliere l’avrebbe fatto il Bellano di Padova. Acceso di sdegno, spezzò la testa e le gambe del suo modello e se ne tornò a Firenze. Il Senato lo condannò al bando perpetuo, ma, a mente più riposata, (1) Luzio, P. Aretino nei suoi primi anni a Venezia cit., pag. 12. (2) G. Ludwig, Bonifazio di Pitati, in « Jahrbuch », cit., 1901-02. (3) Zanetti, Della pitt. ven., pag. 569. Venezia, MDCCLXXI. (4) « Questo Antonio Rizzo del novantaotto havea speso ottantamille ducati e no era fatto la mittà della fabbrica; «efo descoverto che l’haveva falsificà polizze all’officio pel Sai, per 12.000 ducati; e fuzi e andete in Romagna; e puoco « dapuò morite a Fuligno; e tutto quel che è stà trovà del so, ghe è stà venduto ». Malipiero, Annali Ven. cit., II, 674. (5) Alessandro Leopardi, scultore, fonditore, maestro di zecca, fu anche architetto, insieme col Briosco, della chiesa di Santa Giustina in Padova. Baldoria, Il Briosco e il Leopardi architetti di S. Giustina, in « Arch. stor. dell’arte », Roma, 1891, a. IV, fase. III. (6) Cicogna, Iscr. II, 299. (7) Arch. di Stato, Proc. di S. Marco de supra, Decr. e Term., t. II, n. 124(1525-36), c. 211. PtAXt AUTOGRAFO DI ALESSANDRO LEOPARDI.