390 CAPITOLO XI. ALLESTIMENTO DI UNA MENSA IN UNA CASA BORGHESE. Particolare del quadro di Pietro Paolo di Santa Croce « La Maddalena ai piedi di Gesù ». (Venezia, Accademia). scata, la cannella, il macis, il ginepro, il menti piccanti stimolavano la sete, a « quali —diceva Torquato Tasso — insi| fra le varie minestre più saporite, la zuppa dorata inglese, acetosa, capirotta, la minestra imperiale e napolitana (l). Cibi prelibati, le pernici, i fagiani, i pavoni, la mortadella di Cremona, la cervellata di Milano, il cacio di Piacenza, le trippe di Treviso, le lamprede del Binasco, la trota e il carpione del Garda, lo storione ferrarese, la salsiccia modenese, le paste di Genova, i tordi di Perugia, le oche di Romagna, le quaglie di Lombardia (2). Abbondanti i pesci dell’Adriatico, dai più rari e gustosi, riserbati ai ricchi, a quelli più comuni, che formavano il principal cibo del popolo P>. D’ogni qualità le frutta, e d’ogni specie le verdure, che i Veneziani appetivano talmente, da far dire a un medico di quel tempo che l’abuso dell’insalata a Venezia dava origine a tante malattie da far guadagnare ai medici parecchie migliaia di ducati (4). Preferito condimento lo zucchero, che si metteva sul pesce, nella zuppa, in tutte le salse, che non fossero cariche di spezierie forti, aggiungendovi talvolta acque profumate e polvere d’oro, la quale si credeva rinvigorisse il cuore <5\ Per ornamento, si doravano e il pane e i gusci delle ostriche (6). Fra la volgare cipolla e l’aglio puzzolente spiegavano il loro ardore il pepe, il garofano, la noce nio-benzoino, il gengevero, il cubebe (7). I condi-penger la quale c’erano buoni vini, « senza i ¡de sono le vivande che può condire il cuoco (1) Oarzoni, Il Teatro ecc. clt., pag. 586 e segg. (2) Ibid. (3) I pesci più comuni a Venezia erano chieppe, orada, anguilla, bobo, corbetto, zirolo, tonno, lueino, go, astesi, cevoli, barboni, lamprede, sturione, folpi, caragoli, cappe, angusigole, scarpene*, squille, corbo, sfoio, dentali. Costantino Cesare, De li scelti et utilissimi dtxumentt dell'Agricoltura, tradotti per M. Nicolò Vitelli, Venetia, MDCLII. (4) Teza, Scipione Mercuri, in « Atti e Mem. dell'Accad. di Padova', 1902, pag. 11. (5) Vi vi ani, Tratt. del custodire la sanità, Venezia, 1626, pag. 85. (6) SANUDO, XXIX, 547. (7) Il Dall’Horto nella Historia dei semplici aromati (Venezia, MDCXVI) enumera tutte le droghe che si portavano dalle Indie Orientali. Per dare un'idea del gusto e del palato degli uomini di questo tempo, togliamo dal Libro Nuovo nel qual s’insegna a far d’ogni sorta di vivande (Venezia, MDLX1II) di Cristoforo di Messisburgo il modo di fare un brodo nero, che egli chiama divinissimo (pag. 81 e indice); < Piglia libra una d’uva secca, overo schiava, « cavate l’anime, e libra una di mandorle ambrosiane senza mondarle, e una libra di pan tagliato in fette, ciò e una «libra di fette di pane biscottato, moglìate in Agresto e pesta bene ogni cosa insieme, e distempera con brodo di < carne non troppo grasso, e passa ogni cosa per la stamagna, e poni in una cassa stagnata su la bragia, e fa bogliere < ogni cosa per spazio d’un quarto d'hora, con oncia una di cannella e un quarto di pevere pesto, e oncie otto di < mele chiarificato, poi piglia due cipolle tagliate ben minute, e ponile in una pignata in buono lardo pistazzato. E « quando saran cotte le cipolle, le pesterai e macinerai molto bene insieme col lardo dove sono cotte, e poi mettile « nella cazza dove son le altre sopradette cose, le farai bogliere un tnezo quarto d'hora tutte insieme. Poi haverai * la tua carne, o uccelli cotti allessi in pezzi, e li soffrigerai nella patella con buon lardo ben battuto, over distrutto, «e li imbandirai nei piatti, poi lì porrai sopra detto sapore».