92 CAPITOLO V. ♦ OPVS-BARTQ/v\EI-^\ARlNI-DEAVRHNO»l e signorilità veramente latina, che tutto esalta e illumina. Il suo ingegno non conobbe aftievolimento nell’età più tarda; e dopo avere per cinquant’anni guidato di vittoria in vittoria la pittura veneziana, la affidò nelle mani di Giorgione e di Tiziano Nessuno, meglio del Bellini, seppe esprimere, a traverso le linee più perfette della beltà terrena, tale soave sentimento di misticità, da ritener sincera la professione di fede, da lui scritta sul trono della divina Madonna che si ammira nella chiesa dei Frari: Janua certi poli, due mentem, dirige vitam, Quae peragam comissa tuae sint omnia curae. Fu interprete altrettanto efficace della bellezza mondana, e Pietro Bembo dinanzi al ritratto di una donna, da lui amata, dipinto dal Bellini, esclama: Credo eh’ el mio Bellin con la figura Ti abbia dato il costume anco di lei. Il soave pittor di Madonne compose persino quadri licenziosi, come il Banchetto degli Dei e il Baccanale, che lasciò incompiuti, e ai quali Tiziano diede gli ultimi tocchi. Ma fuori delle sue visioni religiose egli doveva sentirsi a disagio; e forse si deve a ciò se egli non pose mai mano a una ¡ustoria o fabula antiqua, ordinatagli dalla marchesa Isabella d’Este Gonzaga, per la sua famosa stanza da studio, che fu poi adorna dei dipinti del Man-tegna, del Perugino, di Lorenzo Costa e del Correggio <2). Il lieto fervore della vita vene- AUTOGRAFO DI ALVISE VIVARINI. ziana attrae invece il fratello Gentile, e i suoi quadri, al pari di quelli del Carpaccio, ci mostrano come in una fotografia sublime la città delle isole. Nel Carpaccio specialmente abbondano i particolari più intimi e curiosi, e quel mirabile cronista del pennello descrive (1) Berenson, Dipinti venez. in America, trad. di G. Cagnola, Milano, s. d. pagg. 67, 171, 181. (2) La commissione fu data a Giambellino nel 1501, per mezzo di Michele Vianello, amatore e ricercatore di oggetti d’arte, il quale aveva anche consegnato al Bellini un acconto di venticinque scudi d’oro. Ma il pittore, per quanto dexideroso de servir la marchesa, non si decideva mai a incominciare, perchè temeva che il suo lavoro dovesse andare al paragone con quello del Mantegna: tanta era la venerazione in che egli teneva il cognato. Ma la ragione vera del ritardo, che irritava la buona Isabella cosi da farle scrivere di non poter più oltre sopportare tanta villania, si deve piuttosto cercare nell’indole del pittore, il quale si metteva tanto male volentieri quanto dir si posi a trattare un antico soggetto profano. Infatti Lorenzo da Pavia, famoso liutaio, che per mandato della Signora di Mantova sollecitava senza tregua l’artefice, scrive nell’agosto 1502: « Cerca al quadro che doveva fare Giovane Belino, non mai à fato niente, « ma io sempre pensai che non lo farebe... lui non è omo per fare istorie ». Pietro Bembo scrive da Venezia a Isabella essere il Bellini disposto a farle il quadro desiderato, e aggiunge: « La invenzione, che mi scrive V. S. che io truovi el « disegno, bisognerà che l’accomodi alla fantasia di lui che l’ha a fare, il quale ha piacere che molto signati termini «non si diano al suo stile». (Gaye, Cartegg. ined. d'art., Firenze, 1840, t. II, pagg. 71, 78). Ma la marchesa dovette rinunziare al soggetto profano, per avere invece un Presepio con la M.a el nostro S.re Dio, S. Isep. uno S. Joanne Baptista et le bestie. Giambellino, che fece aspettare anche il Presepio, il 2 luglio 1504 lo annunzia compiuto e chiede perdono flexis genibus alla marchesa per il luogo indugio che era da attribuire alle sue inumerabel occupation e non ad oblivion. La donna gentile risponde di aver tutto dimenticato, e aggiunge: « s’el quadro de la pictura che aveti facto « corresponde alla fama vostra, come speramo, restarimo satisfate de vui ». Il carteggio tra Isabella e il Vianello, Lorenzo da Pavia e Giambellino, fu pubblicato dal Brachirolli nell’ « Archivio Veneto », a. 1877, t. XIII, pag. 370 e segg.