LA PITTURA NEL PIENO FIORE ECC. 107 ad abitare ai Biri, in parrocchia di San Canciano, dove morì, quasi centenario, il 27 agosto 1576. Nella casa di San Polo dimoravano con Tiziano il fratello Francesco e Cecilia, figlia del « quondam ser Alò de « maistro Jacomo barbier de Pe-«rarol de Cadore », la quale doveva essere andata col pittore, come governante o mammola, secondo si diceva <•>. Dietro le raggianti figure di donne, ritratte o amate dal Vecellio, questo amore, incominciato forse nel 1520, per la povera alpigiana, che gli aveva dato due figli, Pomponio e Orazio, è come perduto nell’ombra. Quando, nel 1525, Cecilia ammalò non lievemente, nacque in Tiziano il desiderio di far benedire dal prete il suo amore, e ne parlò al fratello Francesco. 11 breve dialogo è pieno di soavità famigliare : — « Francesco, io voria «spoxar Cecilia.... nostra de « casa, per respecto che ho due « fioli maschi con lie, la qual è « inferma, a ciò li siano legit-« timi ». E Francesco risponde: «— Mi son contento, et mi « meraviglio che sie stato tanto « a farlo. Questa è bona opera, « et ve exorto ch’el debiate far « al presente ». Senza indugio Francesco va da don Paolo, prete a San Giovanni Novo, e dal fratello di lui, Geronimo, pittore, « el quale era puto allora de anni quindese incircha »<2); si reca poi dall’orefice Niccolò, che aveva la sua bottega all’insegna della Croce a San Matteo di Rialto, e da ultimo da mastro Silvestro, tayapietra a San Silvestro, e tutti li conduce a casa di Tiziano. « Io come sacerdote fici le parole in similibus necessarie » dice, dopo venticinque anni, ai giudici dett’esami nador prete Paolo, che benedisse il matrimonio, « siendo — aggiunge Francesco Vecellio — dieta Cecilia in lecto, presenti tutti li sopra « nominati et cusì con alegreza cenassemo tutti insieme quella sera». Cecilia guarì, visse ancora cinque anni e rese lieto il talamo legittimo di due bambine, una morta in tenera magistri Tutiani pictoris, habitatoris in confìnio Sancti Pauli in domibus de ka Trono, uno uInere (sic) de punta sub ■* occulo synistro, ex quo de presenti vitta migravit ». (G. Saccardo, Due avventure tragiche e una abitazione di Tiziano in Ven.t in « Arch. Veneto », a. 1888, t. XXXV, pag. 407). Nel 1565 un altro servo di Tiziano, di nome Mattia, cado-rino, fu ucciso da un Niccolò Rampogna, calzolaio. (1) Questo vocabolo, che non si trova ne’ dizionari, ma spesso nei documenti, ha generalmente il significato di concubina, quantunque in qualche testamento sieno dette mammole anche le oneste massaie. Nel testamento di Vincenzo Catena, il pittore lascia alla sua mammola Menega Furlana, figlia di un pellicciaio di Udine, trecento ducati e il suo corredo personale. Cavalcaselle e Crowe, Hist. of Paint, in North Italy, London, 1871, v. I, pag. 252. (2) Geronimo, fratello di don Paolo, era un garzone nella bottega di Tiziano. Con ogni verisomiglianza è il pittore conosciuto col nome di Girolamo di Tiziano, il casato del quale era Dente e non, come dice il Boschini, Dante. Ridolfi, op. cit., ed. Hadeln, I, 225; G. Ludwig, Tizians Hochzeit cit., pag. 118. LA CASA DOVE NACQUE TIZIANO INfPIEVE DI CADORE, com’era nel 1760. (Dal libro del Cadorin « Dello amore di Tiziano ai Veneziani », pag. 23). li*/ - /•A 5^ ■ r <*- AUTOGRAFO D! TIZIANO.