L’ARTE NELL’INDUSTRIA 161 ma il suo centro principale era sulla fondamenta della Croce, dove sorgeva la camera del purgo, magistrato composto di lanaioli, il quale giudicava le liti in materia di lanificio, e vegliava alla maggior perfezione della manifattura. Non lunge, a San Nicola da Tolentino, erano le officine dei lavadori, i quali purificavano la lana prima di tesserla; e nel vicino campo, detto ancora della lana, avevano le loro modeste casette gli operai, in gran parte tedeschi. I feltri, le flanelle (poiane), le lendinelle, i cambellotti, gli scoti e le rasse (imitazioni dei panni di Scozia e di Rascia), in una parola tutti i pannilani veneziani a pelo e contropelo, a filo, gallonati, tondi, fini <’>, erano « de «mazor durata et de mazor altezza et mazor braccia de brazza»(2) di quelli delle altre parti d’Italia, anche di Genova, della Toscana, della Lombardia, che «facevano stoffe di « poco prezzo e minor durata, sul gusto deijranzesi che si annoierebbero a portare lo « stesso abito troppo tempo ». Questo severo giudizio suH’industria laniera di alcune regioni italiane e sul gusto francese èjiel patrizio Marino Cavalli, ambasciatore veneto in Francia nel 1556. Col setificio e il lanificio salì in fortuna anche la tintoria. Lo scarlatto, il chermisi e, in genere, le tinture veneziane erano rinomatissime, così che, nel 1532, la regina di Francia ordinava a Venezia trecento rasi colorati per il suo vestimento, e gl’inglesi mandavano a tingere i loro panni a Venezia e a Firenze. L’arte era posta sotto la vigilanza dei consoli dei mercanti, e le leggi volevano esclusivamente riservata agli o-perai veneziani la tintura « in grana « ossia in vermiglio, dalla qual tentura « ha preso il principato la pannina ve-«neziana in tutto il mondo». S’indicavano i mesi nei quali si dovevano preparare le misture per lo scarlatto, e si vegliava severamente per bandire le frodi con tenture d’archimia e per far riuscire perfette le tinte (3). I tintori, che si dividevano in tre classi, di sete, di fustagni, di tele, si raccolsero in confraternita fino da! 1380, e nella chiesa di San Giovanni Crisostomo ebbero arche sepolcrali e un altare sotto la protezione di Sant’Onofrio. Nel 1581 si radunarono in una casa presso il ponte dei frati serviti, e nella chiesa dei serviti fecero erigere un altare, ornato di un quadro, rappresentante il santo patrono, di mano del Tintoretto, il quale non ¡sdegnava di ricordare la modesta tintoria paterna, dove, oltre il soprannome, aveva tratto, fin dagli anni infantili, l’amore per i colori vivaci. Le botteghe dei tintori erano sparse per tutta la città, e per stendere i panni al sole erano destinati vasti spazi di terreno, denominati chiovere dai chiovi usati per appiccagnoli; come probabilmente sostenevano lunghe pertiche, alle quali venivano appese le lane ad asciugare, quelle pietre forate, che ancora si scorgono sulle facciate di molte case. Un curioso e rarissimo libretto, il Plicto di Giovanventura Rosetti, provvisionato (ufficiale) all’arsenale, può ritenersi il primo trattato di tintoria. Modesto e quasi ignoto l’autore, umile il libro, che fu pub- (1) Bart. Paxi, Taripha de pexi e mesure ecc., Venetia, per Albertin di Lisona, 1503. (2) Garzoni, Piazza cit., pag. 736. (3) Terminazione 20 aprile 1509 pubbl. da A. Leandro e N. Rubelli per nozze Cini-De Mori, Venezia, 1884. Molmenti, La Storia di Venezia nella Vita Privata — P. II 11 OFFIZIOLO DI FORMATO DIAMANTE STAMPATO A VENEZIA DAI GIUNTA.