LA CORRUZIONE DEL COSTUME 453 satirici e dileggiatori si traducevano in atto con beffe oscene e sfregi oltraggiosi, che offuscavano talvolta anche la vita della donna. Notabile il caso seguente che ci può far vedere, come a traverso uno spiraglio di luce, certi scandali femminili. La mattina del 4 marzo 1522, si trovarono bruttate di pece le porte delle case di Marcantonio Ve-nier, di Andrea Diedo, di Niccolò Tron e di Antonio Cappello. Il Venier, sulla porta del quale era stato inoltre appiccato un paio di corna, mosse lagnanza al consiglio dei Dieci, ricordando l’esempio del doge Antonio Venier (1382), il quale aveva lasciato morire in prigione un suo figliuolo, per aver fatto a un gentiluomo consimile insulto. Si venne a scoprire che certa Marietta Caravello, moglie a un patrizio Moro, aveva voluto con tale offesa volgare vendicarsi delle spose di quei patrizi, le quali aveano rifiutato di andar con lei a una festa in casa di ser Marco Grimani. La Marietta fu bandita per dieci anni da Venezia (1). La dignità del casato e delle tradizioni era dimenticata da alcuni patrizi che, pur forniti d’ogni dovizia e saliti ai supremi onori, s’invilivano in basse, illecite azioni. Leonardo Loredan, il doge della resistenza di Cambray, venne fatto segno a satire, non tutte bugiarde, che lo accusavano di arricchire (ingrassare) sè e il figlio con indebiti negozi (2). Secondo i diaristi Priuli e Sanudo (3) la pubblica fama apponeva al doge Agostino Barbarigo di aver accettato doni da sovrani stranieri, di non aver sempre pagato i suoi creditori, e di aver commesso indelicatezze, angarie et extortion, onde si trovò opportuno d’istituire alla sua morte gl’inquisitori al doge defunto, per sindacare l’operato del principe e risarcire eventualmente l’erario, rivalendosi sugli eredi (4). Il commercio decadente, i fallimenti dei banchi, il patriziato per Io più disamorato dei traffici, le distrette deH’erario non erano riusciti a ledere i più grossi patrimoni patrizi; ma altri di minore importanza s’erano guasti o consumati ancor prima che sorgessero queste cause di decadimento. Da ciò una grande disuguaglianza di fortuna, e un grande fermento di malcontento e di cupidigia. Di contro ai nobili, che accrescevano le loro pingui sostanze con una saggia amministrazione o con fortunate imprese, andavano aumentando i nobili impoveriti (sguizari) che guardavano con occhio torto le ricchezze altrui <5>. Andrea Ven-dramin, ch’era stato gran merchadante in zoventù, eletto doge nel 1476, aveva un (1) Sanudo, XXIII, 11, 56, 65, 142, 568. (2) Sanudo, VI, 258. Cfr. Brunetti, Il doge non è « segno di taverna », in « N. Arch. Ven. », a. 1917. t. XXXIII, pag. 351. (3) Priuli, Diari cit., mss., voi. II, cc. 81 t.; Sanudo, IV, 148, 149, 183, 184, 358. (4) Arch. di Stato, M. C. Stella, c. 183, 26 sett. 1501. (5) Vedi addietro pagg. 10, 11. PARIS BORDON — CORTIGIANA VENEZIANA. (Vienna, museo).