450 CAPITOLO XIII. conoscenza della Beatrice. I due ospiti s’intendono presto, e il racconto di ciò che avvenne, fatto dalla Zanina, chiamata come teste, e raccolto dal giudice del processo, non potrebbe essere più efficace nella sua ingenuità: « Dum ibi starent in colloquio « dictus Falconus dixit dictae Beatrici: A ino, Beatrixe, tu me fa sì bel onor? Tu « sa che te ho da la man, e tu è andà a dar la man a un altro ? Et ipsa re-« spondit: Credeva che tu me calefassi, che tu me fessi beffe. Et dictus Falconus « dixit : Quel che te ho promesso el te vojo prometter de bel nuo. Ed ambo praedicti « iverunt in camera domus dictae testis ibique dictus dixit : Beatrixe, tu sa’ che tu « xe mia mojer. Et ipsa respondit: Madì sì. Et tunc ipse tetigit manum Beatricis « dicendo: E no toco altra mujer che ti. Et ipsa respondit: E mi no toco altro ma-t rido che ti » (1>. Vero è che questa comoda maniera, riconosciuta valida prima del Concilio Tri-dentino anche dalla Chiesa, non ritenendosi fosse condizione necessaria alla validità del matrimonio l’intervento del sacerdote quando c’era la prestazione del reciproco consenso, diveniva facile incentivo ad abusi e a scandali, specialmente nelle classi popolari artigiane, le quali, passando da una ad altra città, o anche da una ad altra contrada, facilmente tentavano nuove nozze, sciogliendosi dal loro precedente vincolo. Una vecchia legge del 22 settembre 1288 puniva severamente gli uomini ammogliati, che contraessero un altro matrimonio, e le fantesche e le schiave che facessero da mezzane ai loro padroni. Coloro « qui invenerint quod ¡Ile qui voluerit contrahere ma-« trimonium cum aliqua non habet jam uxorem, si inventum fuerit eum habuisse * uxorem tempore contracti matrimonii, debeant frustari et bullari et bannizari per-« petualiter ». La dottrina rigida del semplice consenso, essenziale alle nozze, facilitava la bigamia, la quale si avvantaggiava dal fatto che non era obbligatoria la pubblica celebrazione del matrimonio. La ricordata legge del maggior consiglio del 2 ottobre 1323, che intendeva prescrivere la pubblicità, non vietava poi le nozze clandestine ; e così era sempre agevolato il reato di bigamia, il quale non sempre era colpito da un grave, meritato gastigo. 11 giudice, che perseguita senza misericordia la violenza carnale con severissime pene, è più indulgente verso chi ha ingannato e, dopo l’inganno, è passato a nuovi amori: una mite pena sana l’errore, se pure un sentimento di pietà non consiglia la clemenza, come nel caso di quel Candi fabbro che, fatto sposo di una tal Cataruzza, tornando a Venezia ritrova una schiava, a cui do-dici^anni prima aveva promesso fede di marito, convive con lei ben cinque anni con nuova prole, e, quando essa muore, passa ad altre nozze, nonostante le opposizioni della?consorte legittima abbandonata. La condanna del magistrato colpisce il Candi con la pena ordinaria di lire cento d’ammenda ed un anno di carcere, ma i servigi da lui resi alla patria lo fanno degno di pietà e d’assoluzione (2>. Non si pensa più alla fede tradita, perchè altre considerazioni valgono ad attenuare la colpa. Ciò che richiede jl’intervento e la tutela dei pubblici poteri, non è l’offesa al sentimento su cui si fonda l’istituto della famiglia; ma l’offesa ai materiali interessi della parte lesa: e quest’offesa quando non venga compensata per mutuo consenso degli interessati, non consente l’azione pubblica. Da ciò non s’inferisca che la bigamia fosse ammessa o tutelata dalle leggi. 11 diritto non conosce che un matrimonio; ma non erano facili le sanzioni atte a reprimere la frode, quando vi fosse: perchè in qualche caso c’era l’errore di persona, o l’ignoranza dello stato familiare, o la buona fede nella (1) Gallicciolli, II, 1769, 1770, 1771. (2) Cecchetti, La donna nel medioevo cit., pag. 314 segg.