152 CAPITOLO V. a’ nuovi o tessuti di cotone a quelli di lana (I>, sia con l’adoperare stoffe di colore non buono (2). Per non turbar la quiete del vicinato, era loro proibito di batter le bambagia o cardar la lana di notte <3>. Ai pescivendoli era ingiunto di vender il pesce e la selvaggina, che venivano loro affidati, con il guadagno del decimo (4\ ma non potevano comperarli per rivenderli per conto proprio*5). Ai filatori di canapa, come ad ogni altro, era imposto di non mescolare merce buona con merce avariata o vecchia, canapa con stoppa®, attenendosi alle giuste norme stabilite a tutela dell’interesse del compratore e degli onesti concorrenti. Coloro che lavoravano « d’opera grossa » non potevano infatti lavorare contemporaneamente « d’opera sottile » <7>. Gli uni facevano gomene, funi grosse, cavi, scotte, alzaie, ecc.; gli altri spaghi, corde, reti, funi, ecc.; la tecnica dei primi non doveva recar danno a quella dei secondi. Anche per gli oggetti preziosi erano fissate norme consimili. L’oro lavorato non doveva essere di qualità inferiore a quello della lega del tari, nè l’argento a quello della lega dello steriino <8>. L’artefice era obbligato a lavorare senza frode il metallo di qualità superiore alle leghe suddette che gli fosse consegnato, con diritto a un tanto di calo prò limatura(9K Quanto alle perle, alle gemme e alle pietre preziose, per non sorprendere la buona fede del compratore(10), egli doveva ben guardarsi dal legare in oro le così dette «doppie» o vitreum pinctum vel dispinctum, false gioie a imitazione di zaffiri e smeraldi, o ametista, o cristallo di montagna tinto in colore di rubino, di balascio o d’altre gemme. A tutti, padroni ed operai, era poi fatto obbligo di denunziare gli oggetti di provenienza furtiva che fossero lor venuti tra mano(n). Talune industrie, nel loro esercizio moleste ai vicini o dannose alla sanità, furono allontanate dal centro abitato ove un tempo avevano lor sede; e ciò per rispetto alla quiete dei cittadini e perchè non venisse nocumento alla pubblica salute. Così, avanti il 1271, ai conciatori di pelli fu assegnata la Giudecca (12\ conferendo al loro gastaldo piena facoltà di provvedere al migliore incremento dell’arte, e vent’anni dopo i fioleri (fialai) e vetrai(13) furono trasferiti a Murano. Si può osservare però che fornaci vetrarie dovevano, ciò non ostante, esistere ancora in Venezia, se l’anno seguente un’altra deliberazione del maggior consiglio permette che di certi vetri (veriselli) si possa continuare anche nella città di Venezia il lavoro in piccole fornaci, purché queste siano distanti dalle case almeno cinque passi per ogni lato<14>. 11 capitolare dei fioleri è del 1271 e, con molte ordinanze aggiunte, discende sino al 19 novembre 1311 per trasmutarsi nella mariegola in volgare del Quattrocento. In gran parte esso regola la costituzione e le discipline dell’arte, che era formata dai padroni delle fornaci, dai maestri e dagli apprendisti (disci-pali) (15>, ed era tenuta a pagare un dazio al doge. Nei mesi più disagevoli i fuochi (1) Monticolo, I capitolari cit., voi. I, pag. 24 e seg. (Capituiare de zupariis, c. I). (2) Ibid., voi. I, pag. 42 (ibid., c. XXVIIII). (3) Ibid., voi. I, pag. 47 (ibid., c. XXVI). (4) Ibid., voi. I, pag. 61 (Cap. de piscatoribus). (5) Ibid., voi. I, pag. 59 (ibid., c. I). (6) Ibid., voi. I, pag. 95 (Cap. de filacanapis, c. I). (7) Ibid., voi. I, pag. 100 (ibid., c. I). (8) Ibid., voi. I, pag. 116 (Cap. de aurifex [sic], c. I). (9) Ibid., voi. I, pag. 116 (ibid., c. II). (10) Ibid., voi. I, pag. 117 e seg. (ibid., c. V e VI). (11) Ibid., voi. I, pag. 40, n. 1. Quest’obbligo è molto antico e appare la prima volta nella formula di giuramento del capitolare dei sarti del febbraio 1219. (12) Ibid., voi. II, pag. 488 (Capituiare conciatorum pellium, c. I). Da ciò alcuni fecero persino derivare la parola Giudecca da zooteca, luogo dove si conciavano le pelli. (13) Arch. di Stato, Maggior Consiglio, Pilosus, c. 15 t. (1291, 8 nov.). « Quod fornaces de vitro in quibus laborantur « laboreria vitrea debeant destrui ita quod de cetero esse non debeat aliqua in civitate vel episcopatu Rivoalti sed extra « civitatem et episcopatum in districtu Veneciarum possit fieri sicut placuerit illis qui facere voluerint.... ». (14) Ibid., M. C., Pilosus, c. 22 t. (15) Monticolo, I capitolari cit., voi. II, pag. 65 (Cap. de fiolariis, c. VI).