126 CAPITOLO IV. dei Santi Gervasio e Protasio, di San Boldo, dei Santi Apostoli, di San Cassiano, di Santa Maria Nuova, di San Francesco della Vigna e di Sant’Angelo (1). Chi scrivesse la storia delle comunità religiose veneziane, narrerebbe parte della vita spirituale di questi tempi e mostrerebbe con quanta fede si deponessero molte volte a piè degli altari le ricchezze accumulate con grandi fatiche. Nei testamenti, oltre alle decime, che spettavano al clero, non mancava quasi mai qualche lascito ai conventi e qualche dono alla chiesa più venerata. Così, per citare un curioso esempio, nel 1181, Frondisia, figlia di Maria Stanierio e vedova di Giovanni de’ Dono Dei d’Ancona, dichiarando di possedere cinquanta lire veronesi, un baugo (armilla) di lire venti e un bel crispo o reliquiario, ordinava che disponesse di questi oggetti il monastero di San Zaccaria e la badessa Casotta, sua consanguinea, e che si dovesse pagare il decimo delle lire al vescovado di San Pietro di Castello, per far dire mille messe per l’anima sua e mille per l’anima di sua madre, che del baugo si facesse una croce per ornamento della chiesa, e il restante si distribuisse ai poveri (2>. Le chiese stesse, erette da cittadini, si donavano a qualche comunità religiosa « cum « totis thesauris magnis vel parvis, sive aurum, argentum, aes, ferrum, palios sericos « vel laneos, atque lineos de altaribus, quam de silcis seu de mapulis, et cuncta omnia « sanctoruin, etiam libros divinos diurnales atque nocturnales » <3). Fra i doni che arricchirono le chiese va ricordato quello dell’imperatore Alessio Comneno, il quale nell’anno 1094 circa, per festeggiare la vittoria riportata coll’aiuto dei Veneziani a Bu-trintò contro i Normanni, ordinò dover l’erario di Costantinopoli dare certe somme in oro alle chiese di Venezia (4>. Interi patrimoni si lasciavano ai conventi, come fece Leonardo Michiel, figliuolo del doge Vitale II, col testamento dell’agosto 1184, scritto da Domenico Arduino, pievano di San Giovanni evangelista. Il Michiel istituiva commissaria Casotta, abbadessa di San Zaccaria e le badesse che a lei succedevano, de’ suoi mobili, pel valore di lire ottocentocinquanta, faceva erede la Casotta, e al monastero di San Zaccaria, dove Leonardo volle esser sepolto, lasciava per la sua e per le anime di suo padre, di sua madre, dei suoi parenti, le vigne, le saline, le terre, le acque e tutto il suo allodio in Chioggia<5>. Dalle donazioni, lasciate ai conventi e alle chiese, ad pios usus Ecclesiae (6>, si sperava il compenso nel dì del giudizio finale, come è detto in molti atti di ultima volontà <7>, ne’ quali molti testatori, con atto di pietà veramente cristiana, davano anche libertà ai loro schiavi <8>. Ccl tempo, alle aspirazioni ascetiche si mescolarono passioni e interessi volgari, e il rallentamento della disciplina e della moralità ecclesiastica si fece sentire anche ne’ monasteri. Per liberarsi dall’onere delle doti, genitori spietati condannarono al chiostro le figliuole, e ciò che per alcune continuò ad essere libera vocazione, fu per altre schiavitù penosa<9>. Le infelici sacrificate dalla tirannia domestica non sempre riuscivano ad abbandonare le passioni mondane e portavano entro le mura monastiche (1) Mutinelli, Del costume ven., Venezia, 1831, pag. 38. (2) Arch. di Stato, Ind. generale dell’Arch. di S. Zaccaria, luglio 1181. (3) Ibid., Chiesa di San Luca, Catastico di San Benedetto, n. 3, 1013, C. I. Giovanni e Domenico di Martino Falier donano al monastero del beato Michele Arcangelo di Brondolo la chiesa di San Benedetto posta sul canale di Rialto (febbraio 1013). (4) San di, Princ. di st. civ. cit., II, 394. (5) Arch. di Stato, Manimorte, S. Zaccaria, B. 3, Ind. gen. del mon. di S. Zaccaria, t. I, Test. Leg. Comm., c. 85. (6) Fl. Cornaro, Eccl. Ven. cit., t. II, pag. 403. Come saggio di lasciti ad opere pie, a chiese e conventi, vedi il testamento di Angelo Pesaro (1309), pubblicato dal Sagredo nel suo libro sul Fondaco dei Turchi, Milano, 1860. (7) Baracchi, Carte del 1000 e del 1100 trascr. dall'arch. Notarile, in « Arch. Ven. », a. 1880, t. XX, pag. 327. (8) Il doge Giustiniano Partecipazio nel suo testamento (819) concedeva libertà ai suoi schiavi. Gloria, Cod. dipi. pad. cit., pag. 14. (9) Tamassia, La famiglia italiana nel sec. XV e XVI, Palermo, 1910, cap. X.