LA TRASFORMAZIONE DEL COSTUME 493 L’arguzia dello spirito, la conoscenza degli uomini e delle cose di tanta parte del mondo, portavano il veneziano a quella facilità di sparlare perfino della propria patria. 11 Petrarca, che pur amava il popolo veneziano, si lagnava e si doleva che esso fosse di lingua troppo libero. Anche il Governo cercava di reprimere la scorrettezza del parlare, e nel 1304 ordinava che « quilibet tam masculus quam foemina qui tam inju-« ria alterius quam aliter nominabit vermum canern perdat soldos viginti » W. Se la libertà del parlare giungeva agli inviolabili limiti della censura dello Stato, o delle offese a Venezia, piombavano terribili i gastighi. Un Rizzardo francese (1404) fu senz’altro dannato al capestro per aver detto che volea lavarsi le mani nel sangue dei Veneziani <2>. Il 7 giugno 1464, il consiglio dei dieci condannava al taglio della destra Lodovico Contarini, reo di avere affisso imagini, una sub nomine Serenissimi Principi nostri et altera sub nomine Advocatorum Cornunis, con motti offensivi, non pure contro l’onoratezza del doge, sed etiam contra honorem et statum nostrum (3). E, il 12 luglio 1461, fu appiccato alle colonne rosse del palazzo, un Bartolomeo Memmo, che aveva manifestato propositi di ribellione contro il doge e lo Stato, dicendo ad alcuni amici: « Vegnimo diese a consejo domenega che vien, et le co-« razzine sotto la veste, e amazzemoli, comenzando da questo becco de Christofol « Moro » (4>. D’ogni minaccia e d’ogni offesa la Repubblica poteva tenersi sicura, giacché v’era sempre qualcuno che vegliava alla sua salute, sia per ottenere il premio concesso alle rivelazioni, sia per zelo de amore della patria, come, rifiutando ogni compenso, rispose alla Signoria quel gentiluomo Zaccaria Grioni, che, nel 1449 denunziò il greco Starnati Crassioti, ladro dei gioielli del tesoro di San Marco (5>. Nel 1350 mastro Francesco, chirurgo di Vicenza, fu accusato e condannato per aver pronunciato parole di disprezzo contro la Signoria e plures dominos nobiles Venecia-rum (6>. Ma sopra il vituperio, suggerito dall’invidia o dall’ira, stanno il giudizio della storia imparziale e la sincera lode di ¡molti ammiratori, i quali, non pure esaltano in Venezia le bellezze della natura e dell’arte e lo splendor delle feste, ma anche la giustizia delle leggi, la saviezza degli ordinamenti politici, la forza delle armi. Il Petrarca scrive a Stefano Colonna: « ne ibi quidem ¡jnvenies (nell’Italia settentrionale) « ubi virtutis amicus atque otii conquiescat, praeter nobilissimam illam Venetorum « urbem >. E un poeta toscano, fiorito al principio del secolo XV, Simone Serdini, meglio conosciuto col nome di Saviozzo da Siena, celebra la Repubblica che si regge Non con tirannie ma con ragione, e afferma che in fatto di libertà Questa solo nel mondo oggi sublima CO. Non ostante le varie questioni politiche, che nel Trecento divisero i Veneziani dai Fiorentini, al tempo delle lotte con gli Scaligeri e co’ Visconti, un fiorentino, che ben riassume in sé Io spirito de’ suoi concittadini, Franco Sacchetti, in una lunga rassegna poetica sulle tristi condizioni d’Italia ai giorni suoi, fa soltanto eccezione per Venezia, (1) Àrch. di Stato, M. C., Magnus, c. 79 t., 4 genn. 1303 m. v. (2) Tassimi, Condanne capitali, Venezia, 1867, pag. 49. (3) Arch. di Stato, C. X. Misti, reg. 16, c. 122. (4) Malipiero, Annali Veneti, II, pag. 657, in « Arch. Stor. Ital. », t. VII, 1843-1844. (5) Tassini, Condanne capitali cit., pag. 97. (6) Lazzarini, Marin Faliero cit., pag. 69. (7) Bini, Rime e prose del buon sec. della lingua, Lucca, 1852, pag. 94.