L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA E LE LEGGI 89 parte oifenditrice è chiamata in giudizio con un preceptum conventionis (citazione). La procedura poteva essere o sommaria, sine strepita et figura iudieii, o per clamores, formale, per la quale un messo della curia recava il preceptum al convenuto, o in sua assenza ricorreva alle gride; ma per chi era fuori del territorio del do-gado era usata la bina contestatio : altrimenti la citazione era ripetuta tre volte. Se al giudizio l’attore non si presentava, decadeva dalla lite ; se il convenuto era contumace, si tutelava l’attore con una temporanea immissione nel possesso dei beni dell’avver-sario, che poteva col tempo diventar definitiva. Presentandosi le parti, il giudice esigeva da esse una cautio o vadia in indicio. Poi si apriva il dibattito, durante il quale l’attore, richiedendosi la cautela del sacramentum calumpniae, per evitare le azioni temerarie da parte sua, esponeva le proprie ragioni (intentio), e il convenuto opponeva le sue eccezioni (replicatio). Erano concessi rinvìi per legittime cause ; a tutela dei diritti delle parti il giudice poteva pronunciare degli interdicta, esercitando sequestri conservativi. Nella procedura formale, le parti, convenuto ed attore, erano chiamate a sostenere l’onore della prova, nelle tre forme, documento, testimonianza e giuramento probatorio. Era riservato al giudice il diritto di perizia o di accesso giudiziale. Esaminati gli atti procedurali, se non si fosse prima addivenuti ad un compromesso fra le parti, i giudici pronunciavano in fine la sentenza per legern et iudicium, la quale diventava esecutiva dopo l’approvazione e la pubblicazione da parte del doge, ed era di regola redatta in forma solenne nella cartula deiudicatus. Siffatti lineamenti generali, sui quali si fonda il giudizio nel periodo anteriore alle compilazioni statutarie, non furono oggetto di radicali riforme nella compilazione dei nuovi statuti (l>, ma non mancarono ritocchi per il miglioramento degli atti procedurali, per l’ordinamento dei clamores, per la fissazione dei termini dei diversi atti, nella limitazione dei poteri discrezionali del giudice, nell’esercizio del diritto di prova, ecc. Per rendere più efficace il principio della pubblicità (2), un nuovo ordinamento, elaborato sulla fine del secolo XII, fu codificato negli statuti dello Ziani del 1226. Esso si riferiva alle venditiones ad usum novum, per garantire i diritti dei terzi, con termini piuttosto lati prima di arrivare all’ investido ad proprium, cioè all’ immissione definitiva nel possesso : siamo qui però nell’àmbito della giurisdizione volontaria piuttosto che della contenziosa. Intorno al modo onde era esercitata la giustizia e intorno alle norme giuridiche a cui s’informava, restano numerosi documenti sin dai secoli XI e XII; non sembrerà inopportuno citarne alcuni. Nel 1100, un doge, Vitale Michiel, accogliendo le istanze di una Stefania, vedova Lupareni, rimaritata a un Bembo, invita costei a dare la prova, dopo suo reclamo, del credito totale che vantava verso gli eredi del primo marito. Si presenta essa con il suo fideiussore e prova con testimoni giurati la sua pretensione, e il doge stesso, assistito da’ suoi giudici, sentenzia allora che sia investita della proprietà di terre e di case, già di ragione del defunto marito. Non essendo però rilasciati dagli eredi tali immobili, nè avendo la donna ricevuto in altro modo pagamento alcuno, avviene un nuovo processo, e, dopo una stima accurata della proprietà, le si aggiudica, invece, un determinato prezzo in contanti. Questa procedura, forse non bene determinata in tutti i suoi momenti, apparisce però del tutto regolare e giuridica nella forma, perchè alla prima domanda o comparsa della Lupareni segue la prova (1) Roberti, Magistr. giudiz. cit., pag. 235 segg. (2) Checchini, La « tmditio » e il trasferimento della proprietà immobiliare nei documenti medievali, Padova, 1913, pag. 150 segg.