264 CAPITOLO Vili. quello di Venecias(1>. Da ciò si volle da taluno erroneamente dedurre una prova della diretta soggezione di Venezia all’impero germanico, non considerando come nell’età di mezzo quasi tutta l’Europa riconoscesse un diritto ideale d'alta sovranità a quell’impero, quale successore dell’antico romano, e come la facoltà di batter moneta si dovesse ritenere esclusivamente riservata all'imperatore, anche in un paese che pur godeva di fatto la sua autonomia. D’altra parte le monete di Lodovico e di Lotario, certamente battute in una zecca imperiale, molto probabilmente in quella di Pavia, non possono sembrare testimonianze di sovranità legittima, e il nome di Venezia vi fu posto probabilmente per manifestare le supposte ragioni di sovranità degli imperatori d’Oc-cidente, riconosciuta, entro certi limiti di pura forma ideale, dagli stessi Veneziani(2). Venezia, fattasi avanti senza romore, un bel giorno s’era piantata fra i due contendenti imperi d’Oriente e d’Occidente, facendo capire che non era una forza da trascurare; e il trattato d’Aquisgrana (810) era già una prova che il giovine paese incominciava a valere qualche cosa per i destini di Europa. In Rialto tra la fatica gloriosa dell’ordinamento politico e civile, si ambì al diritto di batter moneta (numi) e, quasi impetrando dal Cielo la benedizione all’indipendenza conquistata, fu coniata fra gli anni 855 e 880 una moneta nazionale con l’iscrizione: xpe salva venecias. Durava però sempre il diritto regale di zecca, se, non molto dopo, i trattati di Rodolfo di Borgogna, di Ugo di Provenza, di Berengario li concedono moneta propria a Venezia <3>, la quale continua, come per lo passato, ad unire nelle monete il suo al nome degli imperatori Corrado II, Enrico II, Enrico III ed Enrico IV<4>. Sono questi i denari veneziani (monetae Venetiarum, nostrae monetae denariorurn parvorum), di cui si trova spesso menzione negli antichi documenti, come nel patto fra Rozone vescovo di Treviso e Pietro Orseolo, dove è scritto: « ...annualiter persolvere debeatis vos iam dictus D. Petrus dux infrascripto Episcopio « Tarvisinianensi, et rnihi Rozoni Episcopo et successoribus meis bisantios aureos « quatuor: et si ipsos quatuor bisantios noluerimus tollere, tunc prò ipsis bisantiis « dare debeatis de vestris denariis libras duas » <5>. Anche nel testamento di Pietro Orseolo II, che lasciò al suo popolo la somma di mille ducentorum quinquaginta librarum, si parla di nostra moneta e di denari parvi (fi), pareggiati alla metà dei denari grossi, o dei denari imperiali, che per eccellenza erano i denari pavesi del regno d’Italia, i quali rappresentavano la dugenquarantesima parte della moneta di conto, chiamata lira imperiale, divisa in venti soldi da dodici denari l’uno. Nella rinnovazione di privilegi, fatta da Lotario III a Pietro Polani (1136), si legge: « Promisit « cunctus ducatus Veneticorum nobis et successoribus nostris.... annualiter omni mense <■ marcio persolvere libras suorum denariorurn quinquaginta »(7). È evidente che l’im- (1) N. Papadopoli, Le monete di Venezia, Venezia, 1893, pag. 14. Togliamo da quest’opera alcune monete veneziane, coniate nell’età di mezzo, disegnate da C. Kunz. (2) San Quintino, Osserv. crit. int. alVorig. e antichità della moneta ven., in « Memorie della R. Acc. di Scienze », Torino, a. 1847, ser. II, t. X, pag. 343 segg. (3) I privilegi di Rodolfo e di Ugo non dànno però ai Veneziani la facoltà fabricandi monetam, ma accordano loro di adoperar la moneta, di cui son usi valersi da tempo antico : « Simulque eis numis monetam concedimus secundum quod eorum « provincie duces a priscis temporibus consueto more habuerunt ». Arch. di Stato, Liber Blancus, cc. 9, 11. (4) N. Papadopoli, op. cit., pag. 23 e passim. Vedi addietro a pag. 121 le riproduzioni del denaro di Enrico II e di Enrico IV (1046-1106), del grosso o matapan di Enrico Dandolo (1202), del soldino o cenoglelo di Francesco Dandolo (1330), del tornese di Andrea Dandolo (1342). (5) Ughf.lli, Italia Sacra, V, 507. (6) Liruti in Argelati, De monetis Italiae variorum dissertationes, Milano, 1750, p. II, pag. 150. (7) Stumpf, Acta imperli, Innsbruck, 1865-ISSI, pag. 122. GROSSO DI TOMMASO MOCENIOO (1413-1423).