132 CAPITOLO IV. e il Soranzo furono banditi*1). Ma lo stato, che ai suoi officiali permetteva simili atti, che potevano apparire sacrileghi, non permetteva ai cittadini, per converso, di fare alla religione uguali sfregi. È da ricordare il gastigo inflitto "a un certo Meiorino Basadonna, un « diabolico spirito », il quale avendo insultato Dio e la Madonna, sputando sopra una sacra imagine, facendola in pezzi e calpestandola, gridando le più nefande bestemmie, fu condannato a un anno di carcere a pane e acqua, e poi bandito, con minaccia di nuovo carcere e bando se ritornava (2>. Anche nelle vie di Venezia era risonata la parola ammonitrice di Bernardino da Siena, e nel 1450 un discepolo di lui, precorrendo il Savonarola, aveva alzato un rogo sul campo di San Polo dove molti accorsero a bruciare treze de capilli, posticci e simili altre vanità femminili (3>. Altri roghi si sarebbero accesi pure in Venezia, se il fanatismo non fosse stato rattenuto dai reggitori della Repubblica, che nelle relazioni con la Chiesa furono guidati da uno spirito di prudente saggezza. 11 rispetto, profondo e sincero, alle cose della religione non poteva far dimenticare che lo stato doveva regolare le condizioni di vita di tutte le società che si muovono nella sua orbita, e non poteva fare eccezione per la chiesa cattolica. Il dominio esercitato dalla lontana Bisanzio non avea impedito lo svolgimento di ogni libertà civile, ma ben altrimenti possente e nociva sarebbe stata sulle lagune l’opera del papato, che in Italia, fra tante grandezze perdute, era l’unica superstite, e che con profondo accorgimento avea fatto suo il grande nome di Roma. Venezia, nel suo asilo appartato, seppe tenersi lontana dalle agitazioni che si accendevano intorno ai papi, e nelle relazioni politiche considerò sempre la Corte di Roma alla pari d’ogni altra potenza. Questa sapiente politica ecclesiastica è già compiuta e ferma sin dagli inizi della vita nazionale. Le origini della chiesa di Venezia, ch'ebbe suo primo centro in Grado, furono agitate e complesse. Nel 452, a Grado aveva cercato temporaneo asilo, per fuggire l’irruzione degli Unni, Secondo, patriarca di Aquileia, ritornato poi alla sua sede. Sotto l’incalzare deH’occupazione langobarda, il patriarca Paolo, a quanto dice una falsa tradizione, vi trasferì stabilmente la sede metropolitana, e il patriarca Elia fece edificare (571-586) la chiesa di Sant’Eufemia, ricca di rari marmi e di mosaici magnifici. Dello stesso tempo, e del pari magnificamente adorni, sono il battistero e il tempio di Santa Maria delle Grazie. Nell'anno 579, nella chiesa di Sant’ Eufemia fu raccolto un sinodo, cui una postuma interessata falsificazione attribuì la proclamazione di Grado a metropoli delle provincie dell’Istria e della Venezia*4). Sotto la protezione dei Lan-gobardi, signori del Friuli, si ricostituì invece il patriarcato d’Aquileia, a cui la nuova chiesa di Grado, che voleva essere la sola continuatrice dell’antica metropoli aquileiese, oppose ogni resistenza per essere canonicamente riconosciuta. L’antica giurisdizione metropolitana s’era spezzata: la parte continentale della Venezia entrava, con Aquileia, nei confini del regno langobardo, e quella marittima, con Grado, restava ai bizantini formando la nuova unità politico-amministrativa del ducato veneziano. Un'altra via era da lungo tempo aperta alle discordie chiesastiche: lo scisma dei (1) Cicogna, Iscr. veti., VI, 141. (2) «-Meiorinus Basadona diabolico spiritu notus, in obprobrium ac offensionem altissimi Dei et Beatissime Virginis « Marie spuit in unam yconam et ipsam proiecit in tarram ?cum pedibus eam calcando et frangendo et dicens de Beata « Virgine Maria et faciens nephandissima et abhominabilia ». Arch. di Stato, Avogaria di Cornuti, Raspe, 1, 2, 20; 12 giugno 1327. (3) Serafino Gaddoni, Vita ined. di S. Bernardino da Siena scritta circa il 1450 da Fr. Sante Boncor O. F. M., A-rezzo, 1912 (estratto da « La Verna », cap. XXXVI, pag. 36 e segg.). (4) L’autenticità degli atti del sinodo gradense riconosciuta dal Monticolo, Cronache antichissime cit., pag. 5, n. 2, e dal Cipolla, Le origini di Venezia, in « Arch. Stor. Ital. », a. 1915, voi. I, pagg. 29-3D, è stata a buon diritto negata da W. Meyer, Die Spaltung des Patr. Aq. cit., pag. 16, segg. Cfr. pure Lenel, Ven. istr. Stud. cit., pag. 34.