444 CAPITOLO XIII. Ma il calore della disputa non cessa, e si trasmuta in una baruffa, eh e soltanto s’acqueta davanti ad un buon pranzo, nel quale in allegre risate si consumano molte ore (1>. La nobile sposa, splendidamente vestita e adorna, entrava nella nuova casa. Ma il lusso e la ricchezza non dovevano, secondo il concetto dei governanti, far dimenticare le semplici costumanze antiche. L’esempio doveva venire dall’alto, e così anche la moglie del capo dello stato, pur circondata dal fasto nelle pubbliche cerimonie, doveva conservare la modestia delle consuetudini nell’intimità domestica. Nella promissione ducale, la quale col doge Jacopo Tiepolo (1229) ebbe forma più ampia e regolare, si fece giurare alla dogaressa di non ricevere nessun servizio, dono o tributo, ex-ceptis aqua rosata, folijs, floribus et herbis odoriferis. Però in occasione di nozze* del doge, o de’ suoi figli e nipoti, era permesso di offrire doni in victualibus qualiscumque maneriei (2). Nella promissione successiva si dichiaravano meglio i, doni che la dogaressa non poteva accettare, fatta eccezione per le offerte di cibi, ma soltanto ad icomedendum, quando [essa e i più prossimi parenti del doge andavano fuor di città (3). Così nella magione dogale risplendeva di più pura luce la virtù femminile, e ben poteva il doge Marco Cornaro (1365), a chi lo rimproverava di avere una moglie di umili natali, rispondere, che non per questo amava meno le patrie istituzioni, e che la sua Caterina era « talmente qualificata di costumi e bona, che sempre da tutte le donne de « la terra la è stada honorada, come si la fosse ussita da le mazor famiglie de la « città » <4>. Il vecchio patrizio chiamato a così alto seggio, non portava seco splendor di ricchezze; aveva servito la patria, conservando la modestia delle sue consuetudini, ma sempre mantenendo il decoro, ed egli stesso diceva « che ancor el fusse assai «^ben vestio in aparentia, l’industria de sua mugier, che fodrava et desfodrava le sue « veste, faceva aparer quelo che non era » <5>. Ma non tutte le donne stanno contente a questa semplicità di costumi, e talune lusingate dallo splendore delle vesti e dei monili, dalla eleganza delle trine sottilmente ordite, dagli zoccoletti trapunti d’oro , divenute spose e madri, s’accorgono talvolta che le loro speranze e i loro sogni sono svaniti, e si sdegnano, piangono, gridano; ma gl’inflessibili mariti rintuzzano i capricci e frenano la vanità insodisfatta, trovando un aiuto, non però sempre efficace, nelle severe leggi suntuarie. Alcune canzonette giustiniane sono una calda difesa delle fogge donnesche, e insieme una protesta vivace contro i decreti proibitivi <6>. Una sposa novella si rivolge alle sue non rassegnate compagne di sventura: e si duole della tirannia che vuol mettere un freno all'eleganza femminile : i gà tolto le corone de la nostra legiadria... (1) Ezio Levi, Francesco di Vanno zzo cit., pag. 207. (2) Romanin, St., II, 430. (3) Molmenti, La dogaressa cit., cap. V. (4) Magno, Cronaca, P. IV, cc. 13, 14 (Bibl. Marciana, It., cl. VII, cod. LXVI). (5) Cron. anonima (Ibid., cl. VII, cod. MDCLXII). (6) Cian, Un cod. ignoto di rime volg. cit., XXXV, pagg. 73-77.