LA SCULTURA, LA PITTURA E LE ARTI MINORI
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per darlo in possesso alla moglie Cataruzza, affinchè possa goderlo a suo piacimento e nissun no li possa dir nite (niente), e che la mia anema sia in la soa de la dita Chataruzza. Vuole che Cristina sua schiava sia fracha (libera), dopo esser stata ancora in casa sei anni ; finisce lasciando per mal toleto tre ducati d’oro. Prolisso invece e nel solito latino notarile il testamento del pittore Niccolò da Zara (de Jadra), figlio del fu maestro Cipriano, pittore, abitante in contrada di San Luca. Ordina ai commissari di vendere tutta la sua mobilia « excepto uno lecto coredato et furnito, quam
<	tenere debeant prò Geronimo filio meo, et exceptis etiam illis istrumentis sive or-
MOSAICO PAVIMENTARE NEL DUOMO DI GRADO.
« degnis ab arte mea qui videbuntur meis commissariis si dictus filius meus voluerit « addiscere artem meam ». Fa molti lasciti a chiese e a congregazioni religiose, alla moglie, alla figlia, a parenti ed amici, e lascia erede residuarlo il figlio Geronimo, minorenne. Anche Niccolò vuole che Caterina sua schiava debba servire ancora sei anni il figlio Geronimo e la figlia Cristina, « et in fine dictorum annorum sit libera et francha
<	ab omni vinculo servitutis et habeat de bonis meis ducatos decerti auri » <’>. Di nessuno di questi pittori, di cui conosciamo i nomi e un po’ anche l’animo, sono pervenute a noi le opere. Per lo contrario non conosciamo gli autori di alcuni antichi dipinti che appaiono d’un’iniantile imperizia, come il Crocifisso sull’altare, detto del Capitello, nella basilica di San Marco (1290) (2>, e l’arca di legno della beata Giuliana
    (1)	Questi cinque testamenti di pittori del secolo XIV furono pubblicati da Rinaldo Fulin, in « Arch. Veneto », a. lS7f, t. XII, pag. 130 segg.
    (2)	Il tempo in cui fu eseguito questo Crocifisso viene indicato da un racconto, che lo dice profanato da un miscredente nel 1290. M. Caffi, Pittori in Ven. nel sec. XIV, in « Arch. Veneto », t. XXXV, pag. 57.