LA CULTURA E LA SCUOLA 407 le due cronache, citate da Giovanni Lucio nell’opera De regno Dalmatiae et Croatiae, e ricordate dal Foscarini (1>. Ma la ricca fioritura poetica, morale e religiosa in vernacolo lombardo e veneto, doveva già avere sulle lagune non pochi cultori, ed è certo che i poemetti ascetici e didattici di Giacomino da Verona, di Pietro da Barsegapè, di Bonvesin da Riva, di Uguccione da Lodi si propagarono anche qui, giacché nelle antiche copie si trovano mescolati con componimenti anonimi, dove anche meglio prevalgono le forme dialettali veneziane®. Possiamo anche dire di più: le recenti pubblicazioni di testi veneziani mostrano che sulle lagune prosperò una letteratura varia nel patrio dialetto, ove s’appaiano, per esempio, il predicozzo morale e il romanzo ; poiché di cose romanzesche non si trattò soltanto nel misto linguaggio franco-veneto, ma pur nel veneto schietto. In prosa prettamente vernacola fra Paolino Minorità compone, fra il 1313 e ’1 15, il trattatello De regimine recto-ris, dedicato a Marino Badoer, duca di Candia. È un dottrinale teorico, che arieggia al De regimine principimi di Egidio Romano, ed è diviso secondo le solite forme scolastiche <3>. Nel dialetto medesimo il popolo cantava la patria, la religione, l’amore, ma degli antichi canti popolari non restano che scarsi esempi: soltanto pochi frammenti se ne ritrovarono conservati dal caso a tergo di qualche pergamena notarile, o in qualche pubblico registro, come il Lamento della sposa del crociato, scoperto entro a un contratto dell’archivio domestico dei Papafava (4>. Più rilevante per Venezia è il trovare nel primo libro di Deliberazioni del maggior consiglio <5> trascritte alcune terzine della Divina Commedia, un sonetto attribuito a Dante, e insieme con queste rime illustri, frammenti di ballate amorose schiettamente veneziane, alcuni proverbi e motti; e poi, quasi per rappresentarci al vivo lo scioperato che così scombiccherava il solenne registro, le parole: Caro compare, ati-dema a conseio a piàr! Lì accanto è ancora (assai opportuno per i consiglieri della Repubblica) il famoso sonetto del Guinizelli : Omo ch’è savio non corre lezero, ma pensa e guarda quel che vói mesura ; poi ch’à pensato, reten lo penserò in fin a tanto ch’el ne l’assecura, ecc. (1) Foscarini, Lett. veti. cit., Iib. II. (2) Mussafia, Monumenti atit. di dialetti ital., in « Sitzungsber. der Akad. der Wissenschaften », t. XLV (1864), pag. 113 segg. (3) Fra Paolino Minorità, De regimine rectoris, ed. Mussafia, Vienna-Firenze, 1868. (4) E un frammento di un poemetto morale o didattico in volgare veneto. Cfr. Lazzarini, Il lamento della sposa Padovana, in « Propugnatore », N. S., voi. IV, P. II (1888), pagg. 302-312. Il Novati (Attraverso il M. Evo, Bari, 1905, pag. 215) crede invece si tratti di un poema allegorico-amoroso. (5) S. Morpurgo nel « Giorn. di Fil. Romanza », t. IV (1882), 204, n. 3.