LA FAMIGLIA 445 Mai non vidi tal durieza ! È fuor d’ogni zentileza... . . i à sbandito i pani d’oro e le veste trionfale che fazea per monti e vale tremar ogni signorìa. Forse pensavano, quelie vanerelle, che i provvedimenti severi fossero ispirati dalla parsimonia dei mariti. E sì che non pochi mariti dovevano la loro ricchezza alla dote delle mogli : Quanti mercadanti è fati per le dote che i ano avuto ! i spende mezi quei ducati e l’avanzo à retenuto, in Alessandria e a Baruto i va a far mercadanzia. La poesia birichina qui colpisce giustamente una malsana tendenza di molti giovani, che trovavano comoda cosa l’impinguare il proprio patrimonio facendo servire la dote della moglie ai propri negozi. Per ciò la legge imparziale frena anche l’ingordigia degli uomini, e pone limiti agli eccessivi assegnamenti dotali. Una legge del 9 giugno 1334 vuole che la sposa non possa portare in dote oltre venti lire di grossi, sia in corredo, sia in oggetti; e nel 1360 il limite estremo è di quaranta lire di grossi. Ma fin qui la legge considera, più che altro, il corredo nuziale, vesti e gioielli; un decreto del 22 agosto 1420 inizia provvedimenti restrittivi contro la dote nel suo complesso di corredo, doni e denaro. Questo decreto avverte che le doti erano così eccessive che alcuni padri, non potendo disporre di molto denaro, si trovavano costretti filias in monasteriis carcerare, cum dignis lacrimis et plantibus ipsarum. Il Senato dispone quindi che le doti, fra denaro, corredo e doni, non possano superare i mille ducati. È curioso notare come, il 21 gennaio 1444, si delibera che per le ragazze da marito, le quali fossero Claude, gibbe, torte e uno oculo non viderent, non dovessero valere le restrizioni dotali, pensando che spesso il denaro può compensare le deformità fisiche Nel contratto nuziale il padre della sposa si obbligava a costituire per essa la dote (dos, reprornissa), la quale consisteva in beni mobili ed immobili. Inoltre nei tempi antichi la sposa portava al marito Marcella, in cui eran contenuti correda cum. gemmis et ornamentis, che solevano essere esposti pubblicamente (2). Della morgengabe si hanno a Venezia rari vestigi ; se ne fa menzione nelle nozze di Valdrada col doge Pietro Candiano IV, il quale donava, prò morganationis carta, il quarto de’ suoi beni alla moglie. Si avverta però che in questo caso la moglie seguiva la sua legge langobarda, e perciò soltanto se ne spiega la presenza nella pratica veneziana, nella quale però si trova un altro analogo costume indigeno, non ignoto al diritto romano e bizan- (1) Bistort, II Mag. alle Pompe cit., pagg. 100, 107, 108. (2) « In nomine Domini Dei et Salvatoris nostri lehsus Christi. Anno domini millesimo centesimo quinquagesimo sexto, « mense decembris, indictione prima, Rivoalto. Testificor ego quidem Conradus Manducacaseum de confinio Sancti Moysi « quod quando desponsavi Mariotam filiam meam in Romanum Mayrano, dedi sibi unam arcellam cum suis ornamentis, va-« lentem inter totum libras denariorum veronensium quinquaginta. Et iti die lune misi sibi prò dono libras denariorum vero-« nensium viginti quinque, scilicet secundum quod rationate fuerunt et valuerunt ille res, quas sibi tunc misi. In pasca misi « sibi, prò dono, capitium unum de auro valentem libras denariorum veronensium quinque : hoc scio et per verum dico testi-« monium ». (Arch. di Stato, Manimorte, San Zaccaria, B. 26). I contratti di nozze parlano de omnibus indumentis sericis et lineis et omnibus indumentis que more dantur feminis (Ibid., marzo, 1108. Quitanzadi dote di Pietro Malacid).