LA TRASFORMAZIONE DEL COSTUME 473 Altri particolari dell’antico costume si rinvengono nei prezzi delle derrate e nel modo di preparare le vivande. Sul valore delle prime non ci resta alcuna memoria anteriore alla legge annonaria del doge Ziani (1173) (1), che, fissando il prezzo massimo delle vettovaglie, prende come unità la lira di Verona, corrispondente alla lira italiana, o a poco meno. Ci è dato conoscere come il vino di qualunque specie, tranne quello di Romania, costasse venti soldi il barile e due per libbra (2), e la carne di bove pure due soldi per libbra. Tra i vari pesci, lo storione, la trota e il rombo costavano tre soldi e mezzo la libbra; le tinche grandi e i lucci seccati ne valevano tre; altri pesci più comuni chiamati go, megla, barbone, scarpena, lucerna, varialo, orata, passera, cavedagno, sogliola, anguilla, due soldi e mezzo la libbra. Il frumento si pagava da sedici a diciassette soldi lo staio, e venti soldi quattrocento uova ; ci volevano venticinque lire per acquistare mille libbre d’olio (3). Sulle provvigioni e sui consumi il Governo esercitava sapientemente la sua vigilanza. Il frumento e gli altri cereali, fino dal tempo del doge Jacopo Tiepolo (1229), erano acquistati a spese dello Stato e conservati in vasti fondachi per essere dispensati al popolo a tenue prezzo. Sulle vettovaglie vigilavano magistrature speciali, come Vufficio sopra le beccherie e pubblici macelli, istituito nel 1249, la giustizia nuova (1262) per le taverne e i venditori di vino al minuto, e per la pubblica annona l’ufficio al formento (1286), il collegio alle biave (1349), i provveditori alle biave (1365). Le più attente cure si davano al primo e più necessario degli alimenti, il pane e, specialmente per il biscotto ad uso delle milizie, il Governo faceva venire i prestinai tedeschi, più esperti dei nostrali (4). 11 vitto dei primi Veneziani, oltre che di carni di bove, di capretto, di maiale, era composto anche di quanto offrivano in gran copia la caccia e la pesca, che sappiamo quanto fossero attive. Sulle lagune, numerosi gli uccelli palustri, come le anitre selvatiche (osele), i maggioringhi, le folaghe, i chiurli, le cercedule, le arzagole; di variate specie i pesci dell’Adriatico e dei fiumi; abbondante la selvaggina nelle selve dell’Estuario. Erbaggi e frutta si ritraevano dalle campagne e dagli orti dell’Estuario (5). S’intende che, pur non dipartendosi la città in sul principio da un modesto tenore di vita, le mense dei ricchi e dei poveri erano variamente fornite. Oltre che più copiose e di più larga scelta, le vivande dei ricchi doveano essere condite con molte spezie, che venivano in gran quantità dall’Oriente. Così dalla Siria e dall’Egitto, sin dal 966, fu portato lo zucchero, che divenne quasi un monopolio per i Veneziani, i quali giunsero nella raffinatura a una perfezione maggiore che altrove <6K Non tardò quindi l’uso delle pasticcerie, e le carte antiche parlano spesso di marzapani, zeli (.zaletti), pigtiocade, codognade, storti, occhietti, spongade e specialmente di scalette, dalle quali venne la denominazione vernacola di scaletteri ai pasticcieri. Ma il popolo, che doveva talvolta accontentarsi di fave, ceci e orzo, e che vedeva anche mescolare il miglio al frumento, non se ne stava sempre tranquillo, come quell’Antonio, muratore di Murano, condannato alla galera, per aver gridato in piazza invettive contro i signori governanti, che mangiavano buon pane e bevevano buon vino, e (1) Arch. di Stato, Due., B. 6. — Lo statuto annonario dello Ziani, del novembre 1173, fu pubblicato dal dott. C. Trevi-sanato (in Programma della I. R. Se. di Paleografia, Venezia, tip. Commercio, 1862). Fu ripubblicato con maggior diligenza dal Monticolo nella « Miscellanea » della Deputaz. Ven. di st. patria, Venezia, 1892, voi. XII, pag. 81. (2) Il capitolare dei cerchiai (Monticolo, Capitolari delle Arti cit. voi. I, pag. 152) contiene molte notizie circa la capacità delle botti, usate a Venezia nel secolo XIII, capacità stabilita dal Governo per i dazi e pel carico delle navi. (3) Liber Plegiorum, Reg. del Predelli cit., nn. 7, 28, 152, 217, 328, 335, 450, 564, 710. (4) I prestinai tedeschi avevano il loro altare dedicato a Santa Caterina nella chiesa di Santo Stefano. Erano uniti in confraternita, e nel 1433 fondarono a San Samuele un ospizio pei poveri della loro arte. Ferd. Apollonio, La chiesa e il convento di S. Stefano, Venezia, 1911, pag. 13. (5) Cecchetti, Il vitto dei Ven. nel sec. XIV, in « Arch. Ven. », a. 1885, t. XXIX, pag. 242. (6) Borgognino, Cenni stor. crit. sulle orig. delVind. dello zucchero in Italia, Bologna, 1910, pag. 25 segg.