1 30 CAPITOLO IV. alle ricchezze dei cittadini <*>. 11 tempio di San Marco divenne l’aula del Comune. Fra il patriarca e i vescovi mitrati, scintillanti d’oro e di gemme, fra un barbaglio di splendori e di colori, fra il clamore di canti e di preghiere, appariva il doge per presedere la pubblica concione, che trattava i supremi interessi dello Stato. La chiesa delPevangelista rappresentava la patria, dove nessuna autorità poteva essere superiore a quella del doge, ch’ebbe il dominio assoluto sulla basilica, esercitando la sua azione sull’edificio e sui ministri ecclesiastici e laici; così che non si poteva provvedere ad alcun ufficio, senza particolare licenza, ordine e decreto di Sua Serenità, solus Dominus Patro/uis et verus gubernator Ecclesiae. Fin dal 979, Tribuno Memo confermava essere la basilica, cappella privata dei dogi, libera a servitute Sanctae Matris Ecclesiae(2\ e vani sempre riuscirono i tentativi di patriarchi e di vescovi per rendere la chiesa di San Marco subdita papae. 11 doge, essendo laico, non poteva esercitare personalmente la giurisdizione ecclesiastica, ma con espressa delegazione la trasfondeva, per tutto ciò che spettava agli uffici divini, al primicerio. E al fine di curare con ogni diligenza e decoro l’edificio, fu creata, forse nel secolo nono, la magistratura più cospicua, dopo quella del doge, il procuratore di San Marco, al quale erano affidate la custodia e l’amministrazione del tempio(3). In ogni occasione lo Stato volle unirsi alle manifestazioni esteriori del culto e all’entusiasmo popolare con quella specie di ascetismo ufficiale(4), che faceva accogliere dal capo dello stato, accompagnato da solenni processioni, i corpi dei santi e le sacre reliquie pagate a prezzi elevatissimi. Così nel 1205, quando fu recato da Costantinopoli il corpo di Santo Stefano, il doge Ordelafo Falier prese sulle spalle la cassetta contenente le reliquie del martire e devotamente la portò nella propria barca. Nè tali atti di pietà erano suggeriti soltanto da avvedimento politico di quegli ottimati, dai quali era uscito Gerardo Sagredo, che nel 1047, in Ungheria, incontrò per la fede il martirio, per il quale fu poi esaltato all’onor degli altari ; le stesse prodezze generose ma irriflessive delle crociate, pur non essendo accolte con entusiasmo dalla Repubblica, non trovarono qui, come da molti si afferma, una scettica indifferenza. Fino dal secolo IX si aprì un ospedale nell’isola della Giu-decca per i pellegrini diretti a Gerusalemme; un altro, nel secolo XI, nell’isola di Sant’E-lena, un terzo a Castello, un quarto nell’isola di San Clemente ; si concedettero ospizi a quei monaci guerrieri che combattevano pei luoghi santi: l'ebbero i cavalieri del Tempio presso la chiesa dell’Ascensione, i cavalieri di San Giovanni a San Giovanni dei Friulani, i cavalieri tedeschi alla Santissima Trinità. Anche i Veneziani presero la croce e combatterono in Palestina, al tempo dei dogi Vitale Michiel, Ordelafo Falier PROCURATORE MARCO. Miniatura del capitolare di Paolo Belegno, procuratore di S. Marco (1367). (Museo Correr). (1) Gallicciolu, II, 178, 179, 181. (2) Intorno ai diritti giuspatronali esercitati dal doge sulla chiesa di San Marco ritornarono di recente A. Galante, Per la storia giuridica della basilica di S. Marco, in « Zeitschr. d. Savigny-Stiftung f. Rechtsgeschichte », a. 1913, pag. 263 segg., e F. Stolfj, Il regio patronato nella chiesa patriarcale di Venezia, in « Giurisprudenza italiana », a. 1913, voi. LXV. (3) Al primo procuratore altri ne furono aggiunti, fino a che, nel 1442, salirono al numero di nove. Erano divisi in tre procuratie : la prima, de supra ecclesiam Sancii Marci, aveva il governo della basilica e della piazza ; le altre due de ultra e de citra, amministravano le tutele o commissarie lasciate dai testatori di qua e di là del canalgrande. (4) Burckhardt, La civiltà del Rin. in Italia, trad. Vaibusa, Firenze, 1876, I, 99.