452 CAPITOLO XIII. cartata dotis de soldis XX grossorum. E il giudice stesso annotava aver pronunziato tale giudizio a titolo di condanna, perchè il Biancherio aveva dato ascolto alle lusinghe del senso (l>; nè il disgraziato s’immaginava di aver guadagnato una moglie in poche ore di piacere. È peraltro vero, che l’indissolubilità teorica del connubio era temperata dal rimedio dei procedimenti, intesi a trovar facili motivi di annullamento del vincolo nuziale, o di separazione tra i coniugi. Ottenuto l’uno o l’altra, senza opposizione della Chiesa, le parti potevano pareggiare i conti (2>, e vagheggiare nuove unioni, se non più felici, almeno più libere, per quanto illegittime. Purtroppo era aperta la via all’arbitrio e alla frode, cui con giusta severità s’opponeva, per tutela dell’onore familiare e per difesa sociale, l’autorità del potere civile. Nel 1406, tal Francesco de Vazoni, contratto legittimo matrimonio con Maria dì ser Alberto Francesco Doro, rimandava, il giorno dopo le nozze, alla casa paterna, con danno e vergogna della disgraziata fanciulla e della sua famiglia, la sposa col falso pretesto d'esser stato ingannato sulla verginità di lei (3). Il furfante, chi sa con quali prave intenzioni, pensava di liberarsi della consorte, proponendo un motivo di nullità legittimo, se non fosse stato menzognero. E il giudice interviene per impedire un’azione fraudolenta, che non soltanto lede i diritti dei singoli, ma è un oltraggio all’istituto familiare e al buon ordine sociale. Il gastigo è severo: separazione sì, annullamento no; e poi a carico del marito tutti gli oneri a tutela degli interessi della parte lesa, e poi ancora, e soprattutto, un buon anno di carcere al malcapitato simulatore, per riparazione dell’offesa fatta a Dio ed allo Stato con la spudorata accusa. Fosse o non fosse felice l’unione, la donna per il vincolo matrimoniale perde la sua indipendenza giuridica; ma la legge la sottrae alle mille molestie dei cavilli curiali, degli interminabili litigi, degli scaltriti inganni del foro; ed essa, libera e padrona di sè e capace d’obbligarsi e di esercitare atti di commercio in nome proprio finché era nubile, dopo maritata ha nel marito il naturale tutore de’ suoi interessi <4>. Nessuno può convenirla in giudizio ; ma essa non può nemmeno promuovere in suo nome cause, delle quali soltanto al marito, come a mallevadore di lei, si attribuisce la capacità (5). Non per questo si stabilisce fra i coniugi una comunione di beni (6>, come avvenne in altre regioni dove il sistema dotale romano andò soggetto a rilevanti mutamenti. Il diritto patrimoniale della moglie si mantenne sempre distinto da quello del marito e fu assicurato da privilegio, cosicché anche nel caso di confisca dei beni di questo, la dote della donna, fin da’ tempi più antichi, non sofferse verun pregiudizio, nemmeno per quella parte che fosse stata aggiunta dopo il matrimonio (7>. 11 marito amministrava la sostanza della consorte e, pur confondendo i beni dotali con (1) Arch. di Stato, Avogciria di Commi, Raspe, I, 2, 6 v. — 1328, 13 maggio. (2) Cecchetti, La donna cit., pag. 317. (3) Arch. di Stato, Quarantia Criminal, reg. 14 bis, c. 90 — 1406, 18 aprile. Si proceda contro Francesco de Vazoni q. Antonio « qui dum traduxisset in uxorem legitiinam Mariam domicelam filiam ser Alberti Francisci ab Auro die secundo « mensis februarii prox. pret. et consumaset matrimonium secum mane sequenti informavit ipsam puelam falso dolose et contra « veritatem dicendo quod non reperierat ipsam puelam virginem et expelendo ipsam puelam et mitendo ipsam ad domum « patris sui in maximum onus et infamiam matrimonii diete puele, patris sui, et totius terre ». È condannato a porre agli imprestiti due. 45 a profitto del suocero per dote e corredi di Maria sua figlia, al nome di questa, alla quale deve esser corrisposto l’interesse per gli alimenti, vivo il marito ; per aver il padre vestita la figlia per 1. 20 gr. deve il marito porre agli imprestiti 1. 20, restando alla donna i vestiti in uso come beni del marito. Oltre la dote deve il marito porre una cauzione di 1. 45 per gli alimenti della moglie, di cui essa non possa disporre alla morte se non nel caso si riunisca al marito e sia da questo ben trattata. Per riparazione all’offesa fatta a Dio ed alla terra ed allo stato con tale atto, resti detto Francesco un anno in carcere. (4) Statutuni Veti, cit., 1. I, c. 6; 1. Ili, c. 54 e la cit. legge 2 ott. 1323. (5) Id., 1. III, c. 54 e la cit. legge del 1323. (6) E. Besta, Il diritto e le leggi civili cit., pag. 79. (7) Statutum Ven., 1. I, c. 57.