490 CAPITOLO XIV. colori il costume della grande e ricca città, ormai divenuta sentina d’ogni vizio, se si dovesse credere a certe ieroci invettive, che dànno una particolare impronta al primo periodo irrequieto dell’umanesimo. Poggio Bracciolini, per esempio, uno dei più turbolenti umanisti, allude, in una delie sue più oscene Facetiae (1>, alla infedeltà delle veneziane, e sotto lo pseudonimo di Plinius veronensis, finge d’informare l’amico Ovidio Nasone della depravazione veneziana, descrivendo il soggiorno sulle lagune dei patrizi veronesi Nogarola (1438-40), e scagliandosi contro la vita libertina di Antonio Nogarola e delle sorelle di lui Bartolomea e Isotta, quell’Isotta che tante lodi ebbe dai letterati contemporanei, ed è invece dal Bracciolini accusata di amori saffici (2). Ma le offese contro Venezia erano per occulte fila congiunte a cagioni lontane. 11 principio e la fine del secolo XIII sono contraddistinti da due avvenimenti che affrettano la trasformazione delle idee e delle cose: la conquista di Costantinopoli (1204), che avvalora la forza dominatrice di Venezia Sull’Oriente, la legge del Gradenigo (1297), che chiude il glorioso periodo democratico della Repubblica. Il favore della fortuna genera invidia e la mutazione di Stato suole operarsi da pochi e patirsi mal volentieri da molti. Di qui l’invidia di fuori, ed entro la città il malcontento : e l’una e l’altro prorompono in contumelie ed accuse. Rispecchia un diffuso giudizio quello di fra Salimbene parmense, il quale diceva che i Veneziani erano avari, tenaces et su-perstitiosi et totum mundum vellent subjugare sibi si possent <3>; e non si pub negare che non fosse tra essi eccessivo l’amor del denaro; ma è anche vero che delle ricchezze, accumulate con aspre fatiche, molti sapevano usar nobilmente, e spesso ascoltavano le ispirazioni della pietà. L’esempio di Pietro Acotanto (m. 1187), nato ricco e ridottosi in piena miseria per aver dato tutto ai poveri, trovò imitatori, che le cure del guadagno posponevano ai sentimenti della carità. Nel 1232 Jacopo Minotto donava le sue case a San Cassiano ai poveri e alle chiese; e nel 1272 Mario pelipario un suo terreno a San Martino per erigervi un asilo pei marinai indigenti. Marco dalle Zucche e Marino Moro aprivano nel 1278 un ospedale a San Vito, e un altro ne apriva nel 1293 a Castello il vescovo Bartolomeo Quirini (4>. Nel 1312 il cittadino Na-ticliero Cristian fondò un asilo per venti poveri infermi, presso la calle del Morion a San Francesco della Vigna; nel 1346 un pio frate, il francescano Pieruzzo di Assisi, potè, accattando di porta in porta, prendere a pigione alcune case, per ricettare i trovatelli, aggiungendovi poco appresso un altro istituto a San Giovanni in Bragora, tuttora esistente col nome della Pietà ; e nel 1382 fu concesso a un povero eremita, Andrea del Birro, di andar sopra le barche e i navigli di commercio, che trasportavano vino, per chiederne in elemosina qualche fiasca, e poter coi proventi della vendita venire in soccorso ai poveri e ai carcerati <5>. Quanto alle altre accuse di fra Salimbene, la tenacia del carattere fu una forza e una ragione di grandezza. Altri uomini più celebri sono più severi, e spregiano Venezia, d’ogni bruttura ricevitrice <6>, a detta del Boccaccio, il quale chiama bergoli (7> i cittadini del più saggio fra i governi d’Europa. Poi, nel Commento a Dante, dice che l’isola di Creta è tirannesca- (1) Poggii, Facetiae, Basileae, 1538, pag. 483. (2) Segarizzi, Niccolò Barbo patr. veti, del sec. XV e le accuse contro Isotta Nogarola (estr. dal « Giorn. Stor. della Lett. It. », Torino, 1904). (3) Salimbene, Cronica, in « Mon. Germ. Hist. », Script., t. XXXII, pag. 481. (4) Romanin, St., II, 399. (5) Ardi, di Stato, Quarantia Criminal, Parti, voi. Ili, c. 108 t. : « 1382, die XVI martii. Capta. Quod ob Dei reveren-« tiam concedatur Andree del Birro heremite pauperimo, qui de elemosinis suis facit multa bona carceratis et pauperibus, quod « possit aliquando ire super platis et naviglis a vino et recipere elemosinam de vino, scilicet aliquando una fiola aliquando « plus, aliquando minus, et recipere in uno suo vasulo sive botaio, et sic consulunt Iusticiarii Novi ». (6) Decanierone, giorn. IV, nov. II. (7) Ibid., giorn. VI, nov. IV.