258 CAPITOLO Vili. diare i modi di provvedere ai bisogni dell’erario, o, come si diceva, al conzar la terra. Dal secolo XIV in poi i prestiti divennero sempre più numerosi e quasi normali a brevi periodi, che si usò indicare con numero progrediente dall’ultima revisione dell’estimo. E con sempre più accelerato ritmo andò anche aumentando il saggio dell’interesse dal due al tre, al quattro, lino al cinque per cento. Nel 1381 esso fu ridotto al quattro per cento, con l’imposizione della tassa dell’uno per cento sui capitali vincolati; nel corso del secolo seguente furono aggravati di tasse varie i prestiti trasmissibili (nonvergini), il cui frutto veniva così ridotto al tre e al due per cento; nel 1463 anche TORNESELLO DI GIOVANNI GRADENIGO (1355-1356). l’interesse dei capitali vergini era diminuito al tre per cento per l’introduzione della decima, con la quale si voleva abolire la gravosa forma del prestito. In effetto però, con altro nome, questa continuò, e nel 1482, mentre si consolidava nel monte vecchio tutto il debito anteriore, se ne accendeva uno nuovo col nome di monte nuovo e con l’utile del cinque per cento da estinguersi in un lungo periodo d’anni con imposte speciali<’>. Le ingenti spese di guerra non permisero che si serbasse a lungo intera la pubblica fede, neppure verso i creditori del monte nuovo, e si dovette ricorrere a prestiti con privilegi sempre maggiori. Sorsero così, nel 1509, il monte nuovissimo, e nel 1525 il monte di sussidio <2). Poi seguirono i depositi in zecca e fuori zecca presso i magistrati di esazione, pel cui servizio si assegnavano determinate imposte. Variavano i nomi più che le cose. 1 depositi furono perpetui o, come si diceva, ad haeredes, o vitalizi, o affrancatili, cioè rimborsabili per estrazione a sorte, in tempo non lungo. Vi furono sospensioni nel pagamento degli interessi, e riduzioni forzate di essi, non così gravi però come in altri stati ; ma anche conversioni facoltative <3> e coraggiose affrancazioni: celebre quella dei depositi in zecca, sulla fine del secolo XVI, il cui disegno, suggerito da Gian Francesco Priuli, si tenne occulto allo stesso senato che deliberava(4>. Anche le spese si possono distinguere in ordinarie e straordinarie; le prime di amministrazione generale, cui si suppliva con proventi ordinari, le seconde deliberate volta per volta dagli uffici legislativi, e rimborsate da particolari assegnazioni sulle entrate ordinarie e con l’istituzione di contributi straordinari'5). Le spese generali di amministrazione nel secolo XIII erano previste in lire tremila di grossi al mese: gli aumenti di stanziamento cominciarono ad effettuarsi dopo il 1325, e nel 1349 la cifra era già raddoppiata, riservando i residui di entrata al pagamento degli interessi del debito (1) Bilanci gen. cit., voi. I, pag. CXC segg. (2) Predelli, Nota sui presi, cit., pag. 78 segg. (3) E. Castelnuovo, Due scritture finanziarie del sec. XVIII, in « Atti del R. Istit. Veneto », a. 1902, t. LXf, p. II. (4) Bilanci gen. cit., voi. I, pag. 250. Il documento originale, in data 21 giugno 1577, è a c. 203 del reg. Ili, Cor.s. Dieci, Zecca. (5) Ibid., pag. CCIX segg. DUCATO DI LORENZO CELSI (1361-1365). TORNESELLO DI GIOVANNI DOLFIN (1356-1361).