472 CAPITOLO XIV. quale rimane nella sua essenza sempre la medesima ; mutano soltanto le forme del costume, sotto l’influsso del tempo, dei luoghi, della civiltà. In ogni tempo, in più o meno larga misura, le virtù si trovano mescolate ai vizi; soltanto gli uni e le altre hanno nell’età di mezzo forme più aspre e rilevate, quasi che gli uomini godessero trascorrere senza gradazione dalle aure più luminose alle tenebre più profonde. Perciò la lode eccessiva del Bertaldo sembra, a tanti secoli di distanza, la prosecuzione dell’entusiasmo enfatico di Cassiodoro nella celebre lettera ai tribuni marittimi. Prodigioso invero è il rapido crescere di questo popolo, ma la semplice vita dei primi tempi è talvolta sinistramente solcata da sanguinosi contrasti. Nessuna guerra che giusta non fosse cogli avversari di fuori: contro i corsari e i Franchi egli Ungheri fu difesa la libertà della patria; ma talvolta nelle isole s’alzano grida d'angoscia, scorre sangue fraterno, guizzano fiamme accese da cittadine discordie. Dalla strage del doge Pietro Candiano IV e del suo figlioletto ancora lattante, si salva la dogaressa Valdrada, che, in tanta sventura, serbò l’alterezza gentilizia del sangue, che le scendeva nelle vene da Ugo d’Arles, re d’Italia (1>. Quando i cadaveri del doge e del bambino stavano per esser portati per infamia al macello, solo un generoso s’alzò tra quei feroci, Giovanni Gradenigo, che salvò dal ludibrio le misere salme e le trasportò a seppellire nella badia di Sant’Ilario. Estinte appena le fiamme di quelle discordie, tutti tornavano alla primiera operosità, mentre in quel paese, frammentato in piccole isole, diviso da fiere rivalità, andava formandosi la grande unità politica e civile. Si abbandonarono le tradizioni del passato, e perfino nel computo dei giorni e dei mesi, le solenni denominazioni romane di idi, none e calende furono conservate soltanto fra i dotti, e l’anno, come in altre città italiane, incominciò, anche nelle carte pubbliche, dalPIncarnazione di Cristo, il 25 marzo. Quest’uso, che in seguito fu indicato colle parole more veneto (m. v.), è antichissimo, giacché se ne trova ricordo nel testamento di Orso Partecipazio, vescovo di Olivolo, dell’anno 853 <2>. • La vita quotidiana fu regolata dal suono delle campane di San Marco, e quella voce di bronzo, or lieta, or triste, fu la voce di Venezia nelle feste e ne’ lutti. Dalla grande torre, la trotterà chiamava i patrizi ai consigli ; la marangona (4> invitava di buon mattino al lavoro gli operai, e sull’imbrunire al riposo; la nona segnava il mezzogiorno; l'ultima, la minore di tutte, detta del maleficio o renghiera, annunciava le condanne capitali (5). I tocchi della nona richiamavano ai pasti gli operai ; cessava ogni opera manuale, taceva ogni romor di botteghe, e uomini e donne si raccoglievano intorno al desco. Alla terza ora di notte dal campanile di San Giovanni elemosinario di Rialto, la rialtina dava il segno di spengere i fuochi. (1) Ugo d’Arles re d’Italia Uberto nato illegittimo da Guandelmonda di Loringia; marchese di Toscana nel 936 e conte del Sacro palazzo; duca di Spoleto nel 943 e marchese di Camerino. Perde lo Stato per la prepotenza di re Berengario II, circa il 952, ma lo riacquista intorno al 962. Morì circa il 968; marito di I Guilla figlia di Bonifazio marchese e duca di Spoleto e di Valdrada sorella di Rodolfo re della Borgogna superiore. Morì circa il 994. _I_ Valdrada Ugo il grande dogaressa di Venezia marchese di Toscana, m. 1001. (2) Gallicciolli, I, 434. (3) Vedi addietro pag. 45. (4) Da marangon (falegname), nel qual nome si volevano comprendere tutti gli operai. (5) Gattinoni, Il campanile di S. Marco cit., pagg. 165-91.