248 VI — SCUTARI E IL SUO LAGO l’atto di scendere, trovando preferibile di andare a piedi: ma mi sento disarmato dinanzi al sorriso di una specie di interprete, che ho preso sul battello, il quale mi consiglia di non meravigliarmi perché si tratta di cose che càpitano immancabilmente ogni giorno. — E non si può fare diversamente — poiché quelle sono le uniche carrozze destinate al servizio fra lo scalo e la città. Pazienza! Ci rimettiamo in cammino percorrendo una strada — se pur si può darle questo nome — nella quale, un po’ a causa dei grossi sassi abbandonati nel bel mezzo di essa, un po' per le enormi buche che vi s’incontrano, e che certamente nessuno per ora penserà mai a colmare, ogni momento si minaccia di ribaltare. Come Dio vuole si arriva dopo una mezz’ora o più — chi si occupa di guardare l'orologio in una simile situazione? — nel centro della città, in una strada un po' più larga delle altre, sulla quale prospettano alcune case di discreta apparenza, e ci si ferma alla porta dell' albergo d’Europa. La frequenza di un tal nome degli alberghi in Turchia si spiega molto facilmente. Gli albergatori sperano con questo nome d'ispirare maggiore fiducia al diente europeo... Mentre scendo di carrozza insieme all'interprete e all'amico Scotti, vice console del Montenegro a Roma, che ho avuto compagno in questa gita, ci viene incontro un povero diavolo, emettendo dei suoni inarticolati e gesticolando vivacemente. Non abbiamo nemmeno il tempo di capire se si tratta di un semplice mendicante o di un pazzo, che il povero diavolo é raggiunto da due gendarmi i quali lo bastonano di santa ragione, e lo conducono via senza badare alle sue proteste, e senza che nessuno dei presenti