La questione degli interpreti 511 mondo turco, se si pon mente che, a volte, sia parlando come traducendo una nota, possono, con una parola di più, con una piccola nuance, dare al discorso una intonazione tutta diversa... senza che vi sia mezzo di controllare. L’Austria, per esempio, rendendosi conto dell’importanza di questi funzionari, ha creato una scuola e una carriera apposta, dalla quale possono salire ai più alti gradi della gerarchia, e nella quale non entrano naturalmente che sudditi Austro-Ungarici. Noi invece — e parlo, ben inteso, in generale — tanto nei Consolati che nelle Legazioni, li raccogliamo alla meglio fra greci, albanesi o altro, senza badare se sono magari sudditi turchi 1 E, tranne per quei pochi che sono, come suol dirsi, in pianta, si tratta di avventizi che assai sovente hanno fatto un po’ di tutti i mestieri e che magari han servito o serviranno dopo altri Consolati! Ci reputiamo fortunati quando mettiamo la roano su qualche italiano — ma intendiamoci bene — italiani nati in Oriente, sudditi o protetti nostri — che non hanno mai visto l’Italia, e per conseguenza non è possibile abbiano alto il sentimento della Patria, e che sono magari renitenti di levai... Il primo interprete della nostra Ambasciata a Costantinopoli, non può essere confuso con questa gente. E’ un uomo il quale ha reso utili servigi, che il Governo ha creduto di ricompensare con ripetute testimonianze di stima e che, come ho già avvertito, ha goduto della illimitata fiducia di parecchi nostri alti diplomatici. Ma è appunto questa sua eccezionale posizione che fa di lui — come dicono a Costantinopoli — il vero ambasciatore, quella che crea nell’Am-basciata stessa uno stato di cose, per il quale sono