Una spedizione italiana 379 abbiano saputo far tacere i loro risentimenti personali, e come abbiano lasciato andare le cose in modo da rendere inevitabile con tanto disordine il disastro che ne seguì, si è colpiti dal fatto che quasi con le stesse parole, e certo con lo stesso sdegno, si esprimevano nel 1897 i volontari italiani di ritorno dalla Grecia. A tanti anni di distanza gli identici casi si sono ripetuti. L’esperienza non ha giovato. Cominciata sotto così cattivi auspici era inevitabile la spedizione finisse male, malgrado che, avanzando verso l’interno, in un brillante combattimento a Ka-ralibey fosse riuscita a sconfiggere i turchi in forze parecchie volte superiori, facendo prigioniero Ta-gus-Aga, il capo del paese, e alcune decine di basci-buzuch. Ma pochi giorni dopo, scemata di numero e senza viveri, la colonna al comando del Pennazzi dovette abbandonare quella posizione, ed a Licursi fu sbaragliata da parecchi battaglioni turchi prontamente accorsi con dell’artiglieria. Dei 320 uomini che la formavano, solo una quarantina riuscì a salvarsi, poiché, anche dopo il disastro, e quando gli sbandati cercavano di salvarsi nei boschi, le camicie rosse da molti di essi indossate li segnalavano ai tiri deibasci-buzuch lanciati sulle loro traccie. Il giovane Conturbia fu uno dei primi a cadere. L’Epiro classico era sensibilmente più piccolo del vilayet di Jannina che ora lo comprende, giacché mentre questi va parecchio al di là di Vallona, il primo si fermava al di quà. Anzi una volta il pascia-licato dell’ Epiro, aveva per confini da una parte l’ionio e dall’altra l'Egeo: attraversava cioè tutta intera la Turchia meridionale e comprendeva pure la Tessaglia. La grande catena del Pindo divideva il pascialicato in due parti.