tudine di dare la responsabilità dell’ educazione di guerra dei Tedeschi a Treischke, a von Bernhardi e agli altri storici e filosofi della forza, che veramente formarono una generazione atta alla guerra. Per correlazione si dovrebbe dire che la responsabilità della incerta politica dell’Intesa è nell’abito della mente per lunghi anni rivolto ai casti pensieri della pace. Comunque, non è dubbio che, eccezion fatta degli eserciti che si battono gloriosamente in campo, nella politica di guerra dell’Intesa è sempre un che di fantastico e di involuto che non arriva a pigliar forma sicura e concreta. Vagano ancora nell’aria vecchi residui di idee, che il turbine non ha al tutto disperso. Dominano ancora nei ricordi e nelle passioni vecchie preoccupazioni dottrinarie, che nemmeno il rombo del cannone è arrivato a stordire e spodestare. Sarà la pace quel che sarà. Ma la mente della guerra bisogna che sia pari alle armi con le quali la guerra si combatte. Se no, a che usare le armi? Oggi, ancora, nell’Intesa, le armi sono di guerra; la mente è tra pace e guerra. E non è nero ancora e il bianco muore — o viceversa. Per noi italiani, non è una questione teorica la questione della concezione della guerra degli Alleati nei Balcani : è una questione essenziale, di prima, di assoluta importanza. E abbiamo il dovere di domandare e pretendere che l’èra degli errori si chiuda per sempre.