cosa, più o meno sanguinosa, più o meno lontana, ma fatale, come la vicenda delle stagioni — normale come il ritmo del sangue in un sano cuore umano. Nessuna meraviglia, dunque. Dopo la battaglia del Piave, io vidi il nostro Comandante Supremo, il generale Diaz, qui in Roma, nell’intimità della sua casa, calmo e sereno come fosse allora disceso da cavallo, dopo la passeggiata mattutina, fuori d’una delle Porte di Roma. — A quando l’oifensiva generale? — gli domandai. — Al momento opportuno — egli mi rispose. — Per ritornare sull’Isonzo, o andare più in là? — Ed egli, scandendo le parole: — Il territorio è il secondo termine del mio programma. Il primo, è la distruzione dell’esercito nemico. Quando avremo distrutto l’esercito nemico, non vi saranno più limiti alla conquista del territorio. — La battaglia di questi giorni è l’esecuzione di quel programma. Il Comandante Supremo aveva già nel pugno la vittoria, come aveva nel cuore il suo esercito, quando enunciava il suo programma e non dubitava di portarlo a compimento, al momento opportuno. L’Austria stringeva, allora, i più lunghi legami d’alleanza, o di vassallaggio, con la Germania — che la sconfitta doveva rompere così miseramente e prematuramente. Ecco, dunque : l’Italia ha compiuto tutto il suo dovere di fronte a se stessa ed alla storia, e assolto tutto il suo compito di fronte agli alleati e di fronte all’umanità. Coloro i quali avevano sperato di vederla uscire da questa guerra ancora umiliata come nel '66, con l’elemosina di qualche provincia ceduta di terza in terza mano, possono pur vestire le gramaglie, o affidare a una pastiglia di sublimato la loro angoscia : l’Italia esce da questa guerra, vittoriosa per la virtù delle sue armi, padrona di sè in casa sua per l’eroismo dei suoi figli più fidi, risplendente di tutte le luci dell’ideale che brillarono in sull’alba del suo risorgimento ed oggi — 176 —