ranno la legge della natura. Così nella direzione della storia nazionale. Il genio della storia lavora da sè. Ma credete sul serio che il popolo italiano facesse il suo calcolo a tavolino, nelle giornate di maggio dello scorso anno, per decidere e proclamare la guerra? Egli seguì l’inconscio della sua vita, il genio della sua storia, l’istinto; l’istinto che ha poi sempre per fine la difesa. Questa guerra, infatti, non è che guerra di elementare difesa. Se avessimo permesso — per negligenza, per incapacità, o per viltà — l’accrescimento di potenza dell’Austria sulle nostre spalle, e al nostro fianco, noi avremmo segnato la nostra condanna di morte — per soffocazione. Se l’Italia deve vivere non può vivere che allontanando da sè la minaccia della più grande Austria. Chi può imaginare, sul serio, un’Italia libera e sicura di sè, con un’Austria ingrandita della Serbia e del Montenegro e dell’Albania, padrona, oltre che dell’alto, anche del basso Adriatico, e dei Balcani ? Mettere la questione, da sè, l’Italia non avrebbe mai potuto, e non l’ha infatti mai messa. Ma poiché l’Austria l’ha messa essa stessa, e per l’Austria con la guerra europea l’ha messa anche la Germania, l’Italia non poteva non accettarne la discussione, con quei mezzi coi quali soltanto si discute in guerra : con le armi. Noi non potevamo, come la Grecia, distruggere, per una fugace settimana di queto vivere, le ragioni essenziali della nostra vita. E tanto meno potevamo rappresentare, ai fianchi della Germania, la parte che, nella guerra europea, rappresentano l’Austria e la Turchia. Il popolo italiano ha subito nei secoli tutte le sciagure delle dominazioni straniere; ma nessuno ha mai potuto pensare che quella del a negro » volontario fosse finalmente la sua missione definitiva dopo la proclamazione della sua unità e indipendenza nella civile storia delle genti europee. Il « negro » della Germania, curvo sotto la frusta dell’Austria, per l’accrescimento della gloria e della fortuna delle due — 50 —