tanto vi invito a leggere l’articolo di Whitney Warren nel Temps. Molti italiani debbono arrossire nel leggere quell’articolo così ricco di verità storiche e politiche, così vibrante di giustizia e di umanità — die essi non avrebbero mai osato di scrivere, nè pensare. E passiamo oltre. Passiamo all’amicizia inglese. Noi siamo nati alla vita, che i nostri padri ci sussurravano all’orecchio le parole del great old man contro i Borboni: negazione di Dio. E noi che non conoscemmo i Borboni, ma soltanto il timor di Dio, ci tirammo su nell’ammirazione dell’Inghilterra per amore di Gladstone, anche dopo che cominciammo a leggere da noi la storia e ad apprendere da noi che la Regina Vittoria era stata una delle più fiere nemiche dell’unità italiana, e che nel Parlamento inglese i fautori dell’Austria nel ’60 e nel ’66 non erano meno industriosi ed efficaci degli odierni fautori della Jugoslavia — con la giustificata attenuante, che non può essere invocata per gli Steed ed i Northcliff, che nel ’60 e nel ’66 l’Inghilterra non era alleata di guerra con noi, come fu sino a ieri ed è oggi ancora — non senza qualche benefizio nel momento supremo del pericolo, degli interessi suoi più che dei nostri. Comunque, ripeto, il ricordo della frase di Gladstone, fu — poiché noi viviamo di memoria più che d’altro — il nocciolo della tradizione della nostra amicizia per l’Inghilterra ; nocciolo che si svolse fino al punto da produrre il rivolgimento della nostra politica trentennale, quando i nostri alleati della Triplice puntarono contro il vascello dell’impero britannico. Ma non vai la pena di ridar alla barba della guerra una tintura di giovinezza. Piuttosto non sarà inutile ricordare, ora che si può fare una sintesi degli avvenimenti : che, nonostante la tradizione, la fratellanza delle idee, i principi comuni di libertà e cose simili, il dissidio tra noi e l’Inghil- - 286 -