LA GUERRA DELL’ALPE. Questa guerra non consente retorica. Essa è, in tutte le forme della sua organizzazione ed esplicazione, una impresa così ardua e severa, che la parola che tentasse di infiorarla coi fiori disseccati degli antichi poemi e delle antiche canzoni farebbe opera altrettanto ingenua e vana, quanto quella del solito fanciullo che volesse raccogliere il mare nel cavo della sua mano. Questa terribile impresa di scienza e di volontà non può avere letteratura degna che nella precisa constatazione dei suoi atti. E il valore dell’uomo, che n’è la misura, deriva dalla perfezione del suo sforzo morale corrispondente allo sforzo fisico e intellettuale necessario alla lotta. I corrispondenti dei giornali esteri, e specialmente quelli inglesi, che seguono al fronte le nostre operazioni, mandano ai loro giornali notizie e giudizi sul nostro esercito, che rivelano, oltre l’ammirazione per il coraggio, una nuova valutazione della mente e del carattere degli italiani, nel formidabile cimento della guerra. E, pochi giorni addietro, alla vigilia della nostra avanzata, il grande poeta dell’imperialismo inglese, Rudyard Kipling, nella sua prosa che sa la guerra, rivelava al suo pubblico la meraviglia per le cose che aveva visto, per il nuovo mondo, per la nuova guerra, per la nuova Italia che aveva scoperto — 120 —