parte integrante della patria, perchè non è e non fu mai cosa italiana. Il dilemma ha le sue corna, che non è possibile far sparire sotto i nastrini rossi di alcuna merceria internazionale. Il grave nella polemica sulla Dalmazia è, purtroppo, questo : che gli antichi sostenitori delle integrali rivendicazioni nazionali, nel mutar programma e nel-l’abbandonare ai cani la Dalmazia, non si limitano già ad usare argomenti politici, cioè argomenti per loro stessa natura opportunistici e transitori, ma tentino anche gli argomenti storici e statistici ed etnografici, cioè gli argomenti fondamentali e sostanziali, di lor natura permanenti ed immutabili, quegli stessi argomenti che i croati, vale a dire i nemici, sogliono usare, con evidente offesa alle scienze nonché al senso morale e giuridico di tutte le genti di cultura e di civiltà, per contestare il puro carattere della nostra lotta nazionale, e per negare quindi agli italiani il diritto di aspirare alla Dalmazia, ai Dalmati il diritto di aspirare all’Italia. Fenomeno sorprendente, e veramente inaspettato, specie dopo la dura guerra combattuta : fenomeno sorprendente di transustansazione morale tra la farina italiana e la crusca croata — che diffìcilmente troverà apostoli in Cena per celebrarne la meraviglia. Si è citato anche Cavour, in onore della tesi dei Croati. E si doveva risparmiare un tal nome per tale tesi e per tale gente. Citare Cavour per attenuare o contestare l’italianità della Dalmazia è una inutile profanazione, che non può portare ad alcun pratico risultato, perchè basta appena voltare la pagina di certo libro, per restituire nella polemica, al suo vero posto, l’autorità del nome e riconsacrare la parola del grande realizzatore dell’idea nazionale. Non è vero che Cavour non conoscesse, come si vorrebbe dare a intendere, e non riconoscesse la Dal- — 325 —