dizio degli altri Delegati del Congresso, non abbiano essi contestati i titoli, evidentemente falsi e inammissibili, dei Delegati sloveni e croati fusi in uno con quello dei serbi, non è facile comprendere, e, in ogni caso, se è errore, non è errore giustificabile. Nè diplomaticamente, nè moralmente, la presenza degli sloveni e dei croati è sopportabile alla Conferenza. Non diplomaticamente, perchè quelli son nemici dell’Intesa; non moralmente, perchè inferiori in grado di civiltà alle altre potenze e quindi incapaci di diritti. In uno degli articoli della Società delle Nazioni si fa precisa distinzione per i mandati, tra genti capaci e genti incapaci di libera scelta; e si applica la distinzione specialmente alle genti dell’impero ottomano. Ora non è una evidente ingiustizia e una più evidente crudeltà verso queste genti, il diverso trattamento fatto ai croati e agli sloveni dell’impero austriaco? È naturale quindi che chi ha tramato con tanto successo questo inganno ai danni dell’Italia, e per l’Italia dell’Intesa, creda di potere ancora tutto osare e tutto pretendere, nella speranza che l’audacia trovi in qualche angolo morto degli interessi europei e in qualche zolla inesplorata della buona fede e della buona finanza americane un terreno propizio alla fecondazione. Ma quando l’audacia arriva al punto di mettere il grifo fin nella purità delle carni italiane di Zara e di Spalato, essa finisce di costituire un attentato contro il diritto nazionale e contro la proprietà, e assume tutte le forme e tutti i caratteri dell’attentato al buon costume. E allora, non resta che il marchio rovente sulla setola.