e della liberazione di Roma. E si dovrebbe dunque concludere alla base di una tal lettera, che Cavour avesse fin da allora rinunziato a Trento e a Trieste oltre che all'Istria e alla Dalmazia? I grandi italiani del Risorgimento non erano i piccoli italiani di oggi, e nella loro alta concezione storica e politica dell’unità italiana, non entravano idee ed argomenti estranei alla essenza nazionale. La prudenza imponeva, e imponeva nello stesso tempo anche la condizione dell’Italia rinascente debole e senza armi in mezzo ad altri Stati forti e ben armati, di porre e risolvere una a una le questioni. Ma rinviarle non significava per essi abbandonarle o disconoscerle. Così, anche nel più fiero momento delle agitazioni irredenti-ste, Francesco Crispi, il quale, per ragioni di governo era stato costretto a reprimere, affermava più alto che mai dai banchi del governo il diritto dell’Italia alla sua piena reintegrazione territoriale. Nel rispondere alla celebre interpellanza, Cavallotti-Imbriani, nel 1889, egli infatti concludeva così il suo discorso, che pure non era e non voleva essere proclive alle agitazioni del quarto d’ora : « L’illustre Marco Minghetti, sedendo su questi banchi, in una discussione politica alla quale ei fu chiamato e nella quale seppe rispondere con fulgore di parola e con quella chiarezza d’idee che gli erano particolari, disse che per la questione della nazionalità bisogna scegliere tempi ed anche momenti opportuni, ma che, se mai questa questione risorgesse, se mai le guerre portassero a modificare la carta geografica di Europa non sarebbe l’Italia quella che dovrebbe temere, perchè noi nulla abbiamo a dare, molto potremmo avere a raccogliere. Ma, se questi sono i principi che devono animare ogni patriota, segga a quei banchi (accenna ai banchi dei deputati) od a questi (accenna a quelli dei ministri), la virtù principale, e degli Stati, e degli uomini politici, è la prudenza ».