risolvere tutte le questioni della nostra guerra, o una sola questione, e la più piccola, voglio anche sperare : quella delle nostre relazioni con gli agitatori della Jugoslavia? Questo fatto nuovo sorto per i buoni uffici degli amici anglo-francesi di quegli agitatori e per la buona volontà e per l’opera dei molti idealisti italiani, con il consenso postumo o anticipato del nostro governo, può influire ad attenuare o menomare o distruggere il Patto di Londra, che è la Carta dell’Intesa e della nostra guerra? Povera diplomazia italiana, povera democrazia italiana, povera guerra italiana, povera tutta Italia, insomma, se questo fosse o dovesse essere! Ma io non ho bisogno di augurarmi che, da Sonnino a Bissolati, il ragno dell’ingenuità nazionale non si affanni a tessere la tela di una simile tendenza. L’augurio sarebbe un oltraggio. L’errore di tutti questi contrasti, verbali e oratorii è sperabile, più che effettivi e sostanziali, è tutto, a me pare, psicologico : un errore che dipende da quella che appunto la psicologia francese chiama l’illusione del déjà vu. Noi subiamo eccessivamente il fascino di questa illusione, e ci troviamo, così, impensatamente trascinati a considerare come vero e reale quello che è soltanto un’apparizione nel teatro del nostro mondo interiore, e ricordare come già visto quello che dovrà ancora accadere. Noi discutiamo infatti, come se la guerra sia finita, come se l’Austria sia già vinta e smembrata, come se il tappeto verde sia disteso per la firma del trattato di pace e per l’assegnazione, a questa e a quella potenza, dei lacerti dell’Austria; e non ci accorgiamo più che l’Austria è nel Friuli e tiene contro le nostre ben settantadue divisioni in armi, e non ci accorgiamo che la guerra continua su tutti i fronti e non è possibile prevedere quando sarà per finire, e non ci accorgiamo infine di questo terribile anacronismo del nostro spirito, che vive la guerra, distribuendo e — 159 —