appena lo spazio di un mattino. Distrutto, quel ch’è più triste, da coloro stessi che l’avevano fatto nascere e l’avevano coltivato ed armato di spine. Il buon Rizov era a Roma, e fu poi a Berlino, il rappresentante di quella manìa politica dell’annessionismo per l’egemonia, che aveva invaso a tal punto, negli ultimi anni, lo spirito e la mente delle genti politiche di Sofia, da indurle a considerare gli altri paesi balcanici, la Serbia, la Rumenia, la Grecia, come tributari, destinati a concorrere con le loro spoglie alla formazione della più grande Bulgaria. La Germania soffiò in quella manìa, individuale e collettiva, per dilatarla fino alle estreme conseguenze, e sfruttarla ai suoi fini, come gli usurai e le male femmine soffiano nelle prime irrequiete passioni dei minorenni, finché non abbiano spillato l’ultima goccia di sangue e gli ultimi sesterzi del patrimonio. Così fu che la Bulgaria, fatta ribelle alla gran Madre, la vecchia Russia degli Slavi, si cacciò nel girone della guerra imperiale per aiutare l’Austria a cacciar la Serbia dal suo nido e la Germania a cacciar dal suo nido la Rumenia e a raggiungere indisturbata la gran tappa di Costantinopoli. Ma quando, compiuta l’opera brigantesca, venne l’ora della resa dei conti e della spartizione e dell’assegnazione del bottino, ed essa, l’ambiziosa Prussia dei Balcani, come nei giorni festosi usavano vezzeggiarla, chiese la parte contratta, dovette accorgersi a sue spese che cosa fosse l’altra Prussia, la vera, la Prussia degli incendiari e dei divoratori. E, da allora, tacitamente cominciò a preparare l’animo alle possibili fughe e ai possibili armistizi. Il pubblico italiano, occupato in altre e più grosse sue faccende, non ha potuto seguire da vicino la trasformazione interiore della Bulgaria, paese e governo, durante l’anno delle