questa leggenda, non so con quanto accorgimento, oggi tenta ripigliare o adombrare ancora una volta il conte Liitzow per dimostrare la perpetua influenza degli stranieri nella politica italiana. Ora, io non voglio e non devo, in questo momento, risvegliare tutte le passioni che sono legate ai ricordi delle giornate di maggio : tanto più che l’unità, che pareva minacciata, si è presto ricostituita negli animi degli italiani, e devono considerarsi inutili i ricordi e più inutili le passioni che si riferiscono a momenti storici definiti e per sempre oltrepassati. Ma, a parte le nostre competizioni interne, che soltanto noi possiamo nella giusta misura e nel giusto valore valutare, non credo che sia il caso per gli uomini politici e per gli scrittori degli imperi centrali,,. e dell’Austria in particolare, di insistere sulla campagna diplomatica della primavera 1915, per indurre o allontanare l’Italia dalla guerra. « Minacce e promesse » vi furono, sì, e il conte Lùtzow sa da quale parte, e il conte Tisza commentando autenticamente i Libri diplomatici disse anche, senza più possibilità di equivoci e di restrizioni mentali, a qual fine diretti. Ma è l’onore dell’Italia di aver prese le sue deliberazioni, non ostante le minacce, e non ostante le promesse; è l’onore dell’Italia, non aver messo agli incanti il suo passato e il suo avvenire, e aver deciso, da sè, di farsi la sua storia col sudore della sua fronte, e col sangue delle sue vene. Le promesse dell’Austria, Bismarck ci aveva già appreso che conto farne, prima che Tisza ci avesse dichiarato che conto egli avrebbe fatto. « Noi ci siamo lasciati invischiare dall’Austria — scriveva Bismarck da Pietroburgo, dopo Magenta — noi ci siamo fatti giocare dalla bonomia viennese. E tutto ciò per nulla. Nemmeno per il più piccolo piatto di lenticchie. » Il piatto di lenticchie, ce lo prometteva a noi, questa volta, l’Austria, ma con qual mano e con quale intenzione! Ed è strano che un uomo di buon gusto, un diplomatico di — 106 —