morale) e non intendo il suo aureo linguaggio. Io non comprendo il « disinteresse » del mio paese, a profitto degli « interessi » altrui. Io non comprendo il « principio di nazionalità » in astratto, o solo agente nella vita dei popoli e nella storia. Io non comprendo che i pnncìpìì e le idee e gli atti che nel momento storico sono utili al mio paese. Non vi sono, del resto, prin-cipii che abbiano e possano avere valore assoluto e assoluta applicazione. Gli uomini di vera efficacia nella vita politica sono i realizzatori, non i sognatori... Ed io affretto coi voti un qualche forte realizzatore che si formi da sè, e formi a noi tutti la dottrina che sia più necessaria e conveniente alla salute del nostro paese. » Inutile dire che l’Italia non ha trovato questo realizzatore. La guerra, che è una fiera e terribile lotta di interessi, che è la suprema espressione tragica della lotta dei popoli per la vita, fu condotta e diretta dai politici italiani come una candida crociata per gli ideali democratici, che il capo dei radicali inglesi, Lloyd George, e i vari capi dei governi radicali di Francia, Viviani, Briand, Ribot, Clemenceau, assicuravano avrebbero fatto trionfare sulla punta delle baionette degli eserciti vittoriosi. Durante la guerra non si trattò mai, sul serio, e con intenti e con criteri positivi, delle realizzazioni italiane nella vittoria italiana : non si negoziò la neutralità, non si negoziò la guerra, non si negoziò la pace, si rimise tutto alla lealtà e generosità degli alleati e delle alleanze, naturalmente ispirati e ispirate ai più puri sentimenti dell’europeismo e dell’umanitarismo interplanetario. Eppure non mancarono, nel corso della guerra, i segni precursori della lealtà e generosità degli alleati, nelle umili e pur non trascurabili questioni della vita materiale : nelle questioni dei carboni, dei grani, dei noli, e infine, anche, nella distribuzione dei mezzi bellici e delle armi e degli ar- — 322 —