ancora nella discordia e nell’inerzia non è possibile. Continuare a bizantineggiare di ideali fra noi, nelle fanciullesche polemiche delle nostre fatuità intellettuali, è cosa indegna ed iniqua — quando abbiamo intorno, su tanta pietà di devastazione, mezzo milione di morti, un milione di feriti, e tutto il patrimonio della secolare famiglia nazionale per terra. Dunque? Faccia, prima di tutti, il governo il dover suo : cioè, misuri le sue capacità e le sue forze, e se le giudica atte al compito, e ne abbia l’assentimento del paese, tracci la sua via e quella faccia passare per il Congresso di Parigi; e se no, si ritiri, e lasci ad altri, più forte, chiunque egli sia e da qualsiasi parte venga, la cura dei nostri interessi e del nostro avvenire. E dal canto suo, dica il paese altamente e chiaramente, nelle forme che non gli è difficile trovare più spontanee ed efficaci, la sua volontà, la sua irriducibile e insopprimibile volontà, di uscire vittorioso e non disfatto dalla pace, come vittorioso e non disfatto è uscito dalla guerra, e non permettere nè ai vicini nè ai lontani, nè agli amici nè ai nemici, traviamenti e tradimenti alle sue intenzioni, ai suoi scopi, ai suoi interessi di oggi e di doman. Dormire non si può più. Agire bisogna, e senza indugio. E agire per l’Italia non per le vostre misere passioni e per le vostre misere ambizioni politiche e parti-tigiane. Abbiate qualche volta pietà anche di quest’ umile Italia! - 217 -