campo aperto. (Non occorre, per combattere gli errori degli avversari, snaturare i motivi della loro azione). Ma egli è che, facendo diplomazia, essi s’imbatterono nelle vie di Londra e di Parigi, nel signor Trumbic, come i nostri soldati, facendo guerra, nei fratelli di lui al servizio dell’Austria. E il signor Trumbic si diede il lusso di giocare anche una volta al Metterinch coi serotini nipotini di Niccolò Machiavelli — e metterli nel sacco diplomatico, come una volta i suoi antenati li avrebbero messi in prigione o sulle forche. Certo, se i nostri candidi parlamentari e pubblicisti, negoziando al di fuori dei poteri costituiti, il Patto di Roma, han creduto di dare scacco alla vecchia diplomazia di Stato e dare un esempio decisivo della nuova diplomazia popolare, senza secreti, senza protocolli e senza ambasciatori, io credo che essi dovranno, per il trionfo dei loro principi e dei loro metodi, ritentare ancora la prova. Essi, per lo meno, si mostrarono manchevoli del primo, essenziale elemento, alle trattative di quasiasi sorta : l’elemento psicologico : che importa la conoscenza del contraente, amico o nemico, e la conoscenza dei suoi fini e dei suoi mezzi di lotta. Essi che, se non altro storicamente, dovevano conoscere il croato, trattarono col signor Trumbic come avrebbero trattato con un loro conterraneo del paese di Montecitorio, con uno del Fascio o dell 'Intesa o de\Y Unione, per fare tutti insieme un ministero senza colore. Il signor Trumbic, invece, aveva il suo colore, che non stinge, il suo bastone che non si piega, e nel taschino del gilè tutto l’odio della sua razza contro l’italiano che non si spende invano nè si spende su tutti i mercati. Ei vide qui e a Londra e a Parigi, un gruppo di persone sconvolte dal disastro, sfiduciate dell’avvenire, pronte a tutto, pur di salvare in un modo qualsiasi la loro guerra. E concluse, da protettore, naturalmente nel nome dei pm sacri principi dell’89, il Patto di Roma. Egli non metteva nulla del suo e della gente croata nella posta : nè — 220 —